La clausura nella spiritualità di Santa Chiara

di Sr. Emanuela Roberta *

L’11 agosto 1253 nasceva al cielo Chiara d’Assisi, “la cristiana”, come san Francesco amava chiamarla. Sì, perché la sua esistenza, spesa nel silenzio della preghiera, nella vita fraterna e nell’umile lavoro quotidiano presso il monastero di san Damiano, altro non è che l’esperienza di una donna che ha saputo accogliere e vivere fino in fondo il dono della fede, in tutte le sue dimensioni.
In questo senso allora Chiara è sorella di ognuno di noi, e può dire ancora molto oggi al nostro cammino di sequela del Signore Gesù.
Mi soffermo soltanto su un aspetto della nostra forma di vita che solitamente interroga coloro che ci accostano, ed è quello della clausura: Che senso aveva per Chiara e cosa significa per il mondo d’oggi questa modalità di vita?
Mi piace rispondere con un’immagine molto bella ed efficace che santa Chiara stessa ci offre nei suoi Scritti. Nella Terza Lettera a sant’Agnese di Boemia ella scrive, a proposito della vergine Maria: «Stringiti alla sua dolcissima Madre, che generò un figlio tale che i cieli non potevano contenere, eppure lei lo raccolse nel piccolo chiostro del suo sacro seno e lo portò nel suo grembo verginale». [FF 2890]
Questo è l’unico passo di tutti i suoi Scritti in cui Chiara utilizza il termine “chiostro” (da cui deriva la parola “clausura”, dal latino claudere: “chiudere”).
Dunque Chiara paragona il chiostro al grembo della vergine Maria, capace di “raccogliere” la vita nascente di Gesù. È un’immagine veramente molto bella, squisitamente femminile, che ci aiuta a comprendere il senso più profondo della scelta di vita di Chiara e di noi sorelle povere al giorno d’oggi: accogliere, far crescere e generare VITA, la vita stessa del Signore Gesù, dentro e attorno a sé.
Il grembo è un luogo accogliente, caldo, custodito, silenzioso e protetto, perché la vita possa essere accolta e accompagnata. E, una volta portata a compimento la gestazione, la vita va “restituita”, lasciata libera di nascere e distaccarsi da sé… lo sanno bene le mamme che vedono crescere i propri figli, e che devono accettare di lasciarli liberi.
Questo è, in breve, il senso di una vita ritirata e apparentemente inutile. La clausura è un mezzo che aiuta ad essere grembo capace di generare la vita di Gesù, senza appropriarsene, per farne dono alla Chiesa e a tutti i fratelli… durante il tempo della gestazione quasi nulla si può percepire dall’esterno, eppure il miracolo della vita viene intessuto silenziosamente e misteriosamente nel grembo di una madre. Il frutto lo si vedrà solo alla fine. Anche noi sorelle spesso non vediamo i “frutti” di questa paziente attesa: solo nella fede è possibile cogliere qualche segno del passaggio del Signore.
Ma c’è di più: questa chiamata ad essere “madri” del Signore non è riservata solo a poche persone nella Chiesa. Il beato Isacco della Stella, un autore spirituale del XII secolo, in un suo celebre discorso afferma che quello che viene detto della vergine Maria è vero per ogni anima fedele, cioè per ogni battezzato.
Anche san Francesco, pochi anni più tardi, esprime un’idea simile, ampliandola: nella Lettera ai fedeli dice che tutti possiamo essere sposi, fratelli e madri del Signore Gesù Cristo. Scrive: «Siamo sposi, quando nello Spirito Santo l’anima fedele si unisce a Gesù Cristo. Siamo suoi fratelli, quando facciamo la volontà del Padre suo, che è nel cielo. Siamo madri, quando lo portiamo nel nostro cuore e nel nostro corpo attraverso l’amore e la pura e sincera coscienza, e lo generiamo attraverso il santo operare, che deve risplendere in esempio per gli altri».
In questo senso, allora, la nostra vita in clausura diventa un richiamo, un segno, di ciò a cui tutti i cristiani sono chiamati a vivere. Ciascuno di noi è grembo fecondo della vita del Signore Gesù, con modalità differenti a seconda della vocazione ricevuta.

* clarissa del Monastero di Lovere (Bergamo)

Crediti foto: Clarisse Borgo Valsugana www.clarisseborgovalsugana.it

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