La storia di Anwarite, beata martire congolese. Il Vangelo oltre la tradizione

di Sr. Maria Rosa Venturelli *

Ho vissuto per diversi anni a Isiro, vicino al luogo, la “Maison Bleu”, ove fu uccisa la notte del 1° dicembre 1964 sr. Marie Clementine (nome da religiosa) Anwarite Nengapeta (nomi ancestrali), una suora zaïrese di una Congregazione africana. Non aveva ancora emesso la consacrazione perpetua. Il nome Nengapeta, in lingua Kibudu significa “la fecondità provoca l’invidia”. Era la primogenita, sarebbe stata la madre di molti figli. Anwarite invece aveva il significato seguente: “quella che ha riso della lite e della guerra”.

Ho conosciuto personalmente la famiglia di questa martire, oggi BEATA. Mama Isude si fece battezzare quando Anwarite aveva due anni. Divenne una donna dalla fede solida, che educò le sue 6 figlie nella fede in Gesù. Il papà Amisi, camionista, rimase pagano e un giorno, vedendo che aveva solo figlie e lui voleva invece un maschietto, voleva portare in casa la sua amante come seconda moglie, dalla quale però non ebbe mai figli.

Mama Isude fu decisa: non accettò di vivere con un poligamo. E papà Amisi se ne andò, divenne in seguito protestante. Anwarite ripeteva di lui così: “È sempre il nostro papà, anche se non vuole sapere niente di noi”. La fede di Anwarite era profonda. Ricordo le sue sorelle, particolarmente Paolina, e Teresa che venne ad abitare con la sua famiglia nella zona della nostra parrocchia di Ste Anne a Isiro.

Mama Isude mi raccontava spesso della sua bambina Anwarite, di come un giorno, ancora adolescente, fuggì su un camion per andare dalle Suore e qui entrare come postulante, mentre lei non voleva, perché aveva bisogno del suo aiuto in casa. Era ancora troppo giovane. Oppure di quando già suora, venne un giorno in vacanza in famiglia e la mamma le chiese, adesso che era insegnante, di ritornare a casa, per lavorare e aiutare le sue sorelle più piccole a studiare come lei. Anwarite le disse: “Per penitenza oggi dirai un rosario intero, perché io non posso tornare, lo sai bene. E non mi farai mai più questa domanda”.

Ero presente quando nella cattedrale diocesana nel 1978, vennero esumati i resti mortali di Anwarite, in occasione dell’avvio del processo di canonizzazione. Il suo corpo era intatto, gran parte del suo abito religioso pure, alcuni pezzi del suo rosario, ma soprattutto la bocca aperta al riso, così come esprime bene il suo nome: “la donna che ride perché vince”.

La vita di questa giovane suora è stata all’insegna della profezia, per i tempi nuovi che la Chiesa stava vivendo a ridosso del Vaticano II. Ho svolto la mia tesi di laurea su di lei e in particolare sul suo “DIARIO spirituale” che lei scriveva. Ricordo qui un paio di episodi significativi.

Sr. Anwarite insegnava alla scuola elementare della missione, dove risiedeva la sua comunità. Un giorno trovò per strada piangente una bambina – Tipolo si chiamava – accusata di avere causato la morte dei suoi genitori, dato che sembrava un po’ menomata mentale. Anwarite il giorno dopo la invitò nella sua classe, nonostante che tutti pensassero che era oggetto di “kindoki” – cioè di malocchio ancestrale – e la sua famiglia l’aveva abbandonata per paura, perché portatrice del maligno. Come entrò in classe, tutti i bambini, che già sapevano la sua storia, si ritrassero in un angolo o scapparono fuori. Ci volle del tempo prima che Anwarite riuscisse a ricondurli tutti in classe, facendoli sedere per terra con al centro Tipolo. E spiegò loro che Gesù accoglieva tutti e che lo “ndoki” non esisteva, che dovevano accogliere l’amica come una sorella.  E che mai più avrebbe tollerato un atteggiamento non cristiano nei suoi alunni e Tipolo sarebbe stata in classe con loro sempre. E così fece. Anche alcuni genitori protestarono, ma Anwarite seppe convincerli con dolcezza e determinazione. Il Vangelo bisognava viverlo davvero. Con questo suo gesto Anwarite passò sopra a tradizioni ancestrali di secoli, con la semplicità e la forza del Vangelo vissuto.

Anwarite era interessata ad alcune ragazze dei villaggi vicini, perché non andavano a scuola e vivevano male, sfruttate da uomini senza scrupoli. Voleva aiutarle, perché sentiva che il suo ruolo di madre e sorella era in causa. Ma a quei tempi lei doveva aiutare in cucina dopo la scuola. Ma più volte lei uscì lo stesso per andare a raccoglierle, per istruirle, per dare loro una educazione e una formazione cristiana solida. Non tutte le sue consorelle condividevano questa sua ansia apostolica e spesso la criticavano. Ma lei andò avanti nel vivere il Vangelo in pienezza.

La notte del martirio, fuori dalla porta della casa dove erano prigioniere e le sue consorelle, Anwarite veniva uccisa a colpi di fucile dai soldati ubriachi, perché non voleva salire sull’auto che l’avrebbe portata dal loro Capo il colonnello Olombe che la voleva per sé, perché era una donna bella e determinata, istruita e volitiva. E cadde agonizzante, immersa nel suo sangue, sul lastricato del cortile della Maison Bleu. Dopo un po’, quando le altre 38 sorelle, suore, postulanti, novizie, tutte prigioniere nella casa, si resero conto che Anwarite stava entrando nella Vita eterna, si raccolsero a cerchio attorno a lei e spontaneamente intonarono a tre voci il canto del MAGNIFICAT. Una sorella presente, scrisse su un foglietto del suo diario minuscolo che custodiva in tasca, con una matita: “Siamo 38 vergini, ora saremo 38 martiri. Grazie Anwarite”. Questo fu il forte desiderio di vivere un “martirio comunitario”, raramente vissuto nella storia della Chiesa. Ma i soldati ebbero timore del sangue sparso sul selciato, che brillava con lo splendore della luce della luna, e se ne andarono terrorizzati, lasciando le sorelle impaurite e sole nella notte, ma libere.

Più tardi nella notte il papà di Anwarite che viveva a Isiro con la sua nuova moglie, venne a conoscenza del fatto accaduto alla figlia; fece avvisare in segreto il capo dei soldati che non deponessero il corpo di sua figlia suora nella fossa comune, ma la seppellissero in parte. E così i soldati fecero e fu possibile in seguito trovare il suo corpo, riconoscerlo e seppellirlo nel cimitero parrocchiale, ove rimase fino alla sua esumazione, quando in solenne processione osannante fu portato e interrato nella cattedrale diocesana, a fianco dell’altare, in una apposita cappella, ove si trova tutt’ora. La Miason Bleu, che apparteneva allora a un ricco commerciante greco, è diventata oggi come un piccolo santuario, ove tante persone si recano a cercare consolazione e chiedere intercessione ai piedi della loro Beata.

Mama Isude visse il percorso della causa di canonizzazione, dapprima con timore e in seguito con gioia. Morì lungo il cammino. Alla Beatificazione nel Paese fu presente la sorella Teresa. Papà Amisi era molto malato a quel tempo e morì dopo questo evento, assistito da catechisti e pronunciò la fede nella chiesa cattolica, prima di volare nella Pasqua eterna, a salutare la figlia Anwarite, che da sempre aveva pregato per lui.

                                             Beata Anwarite prega per noi!

* Sr. Maria Rosa Venturelli, missionaria comboniana. Ha lavorato per 12 anni in Zaire (attuale Repubblica Democratica del Congo).

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