Quelle mani alzate icona della mia vocazione. Storie di vita missionaria in Congo

di Sr. Maria Rosa Venturelli *

Mons. Bruno Foresti fu eletto vescovo di Modena, la mia diocesi di origine, il 2 aprile 1976. Pochi mesi dopo sarei partita per la missione africana in terra di Zaïre, attualmente R. D. del Congo. Lui stesso venne a presiedere il 6 gennaio seguente il mandato missionario nella mia parrocchia degli Angeli Custodi in zona Formica, in terra Vignolese. Prima di partire per l’Africa, il 20 gennaio 1977, insieme al mio parroco Don Ivo, passai a salutarlo in curia vescovile. Mi disse che aveva in programma un viaggio in Africa a trovare i suoi missionari/e e sarebbe certamente passato anche nella missione ove mi sarei trovata. Io partii il 26 gennaio 1977 e tre anni dopo lui arrivò di sorpresa a Isiro, missione situata nella Regione dell’Alto Zaïre, distante circa 3.000 km dalla capitale Kinshasa.

L’arrivo a Nala

Era l’anno 1980. Un lunedì mattina, partii con il nostro forte e pesante fuoristrada per una cappella, chiamata Nala, insieme con un gruppo di Bilenge ya Mwinda – Giovani della Luce – dovevamo dare inizio a un nuovo gruppo in questo villaggio, a circa 30 km nella foresta. Nala in quel tempo era un grosso villaggio, c’erano tanti lavoratori nelle piantagioni di caffè. Tra l’altro Nala ospitava in quel tempo una grandissima piantagione di caffè, appartenente al figlio del presidente Mobutu. Era curata alla perfezione e bellissima a vedersi. Splendida quando le piante di caffè fiorivano, i loro fiori bianchissimi erano come gocce di neve posati sulle foglie. Uno spettacolo senza paragoni. Il caffè fioriva anche verso Natale di ogni anno, a noi sembrava di vedere la neve posarsi sulla terra africana.

Erano circa le 10 della mattina, stavamo facendo una riunione, noi e i giovani di quel villaggio, una 70na di persone, quando arrivò un fuoristrada… strano non arrivava mai nessuno a quell’ora. Ma noi continuammo il nostro incontro senza pensarci, nella cappella, fatta con legni di bambù e un voluminoso tetto di foglie. Dopo un po’ fece ingresso nella cappella, chinandosi per entrare, Mons. Foresti, accompagnato da un Padre della Consolata, pure della mia terra. Non credevo ai miei occhi, rimasi senza parole. Mi disse che era andato alla mia missione e le sorelle gli avevano detto che ero in foresta con i giovani. Sarei tornata nel primo pomeriggio, poteva aspettarmi in casa. Ma Foresti disse di no, voleva venirmi a trovare, dove svolgevo il mio ministero. E così giunse a Nala. Fu l’unico vescovo modenese che venne a trovarmi sul campo di lavoro missionario.
Per i giovani presenti fu una grande festa, cantarono, danzarono, fecero discorsi, non volevano più lasciarci rientrare alla missione. Si fermò con noi tutto quel giorno e poi ripartì per incontrare altri missionari e missionarie.

La vocazione missionaria

Questo evento mi fa ripensare a un altro momento da me vissuto nella realtà diocesana di Modena. Ero una giovane ragazza di 17 anni, già pensavo alla vocazione missionaria, ma nessuno ancora lo sapeva se non i miei genitori. Ero responsabile del gruppo delle Beniamine nell’Azione Cattolica parrocchiale. L’ultima domenica di gennaio 1966 ci fu un incontro in cattedrale con il Vescovo Mons. Giuseppe Amici. Io pure vi partecipai con le mie ragazzine.

Quegli anni erano anni molto fecondi ed effervescenti, eravamo dopo il Vaticano II°. La diocesi guidata da Mons. Amici fu centro di nuove sperimentazioni. Nacque la comunità di Monteveglio, attorno alla figura carismatica di don Giuseppe Dossetti; si diede molto spazio ovunque al rinnovamento conciliare, sorsero circoli, gruppi, movimenti; si sviluppò in terra modenese e regionale l’esperienza dei “preti operai”. Mons. Giuseppe Amici, generalmente prudente nelle sue esperienze pastorali, fu un “vescovo conciliare”, che aveva capito la positività di fare nuove esperienze, e non ostacolò le esperienze di apostolato operaio… le assunse in pieno. Significava che l’attività pastorale vecchia si poteva anche sostituire con l’attività manuale, vivendo in maniera comunitaria il Vangelo.

Le mani alzate

Quel giorno, alle ragazze dell’AC, Mons. Giuseppe Amici parlò con il cuore, parlò del Vangelo da vivere in modo profondo e vero, attento alla realtà operaia, dentro la Chiesa. A un certo punto, terminando la sua omelia, rivolse a noi tutte una domanda: “Chi di voi sente dentro di sé la chiamata per consacrarsi all’annuncio del Vangelo, alzi la mano”. Alcune mani qua e là timidamente si alzarono, io innalzai a mezz’aria la mia mano sinistra, non volevo che si sapesse della mia scelta. Ma dentro il cuore le avevo alzate entrambi, proprio in alto, per dire tutta la ricerca vocazionale che avevo in cuore. Quella domanda rimase in me impressa a caratteri di sangue.

Mons. Bruno Foresti, venendomi a trovare nel villaggio di Nala, lontano, in piena foresta, sul luogo del mio ministero missionario, mi riallacciava fortemente alla mia vocazione e alla mia diocesi di origine, che mi aveva inviato in Africa un giorno oggi molto lontano.

I Bilenge ya Mwinda si salutavano così quando si incontravano:

  • dicevano SHALOM
  • mentre si alzavano le braccia in alto a destra
  • con le mani unite in un abbraccio evangelico
Maria-Rosa-Venturelli

* Sr. Maria Rosa Venturelli, missionaria comboniana. Ha lavorato per 12 anni in Zaire (attuale Repubblica Democratica del Congo). Autrice di Terra e Missione

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