di Suor Stefania Raspo *
L’Istituto delle Suore Missionarie della Consolata è nato per il primo annuncio del Vangelo in zone dove ancora non si conosce Cristo, nel caso specifico è stato il Kenya il primo luogo della missione. Dopo poco più di un secolo, la Chiesa di questo paese è oggi viva e fiorente, e la maggior parte delle vocazioni della congregazione provengono da lì. È commovente pensare come un popolo abbia accolto il Vangelo ed ora esce per poterlo annunciare a chi ancora non lo conosce! Sono gioie che solo la missione ad gentes sa regalare.
Ed oggi, dove guardano e dove vanno le Missionarie della Consolata?
Ormai da qualche decennio l’interesse (e il cuore) si rivolgono verso i paesi dell’Asia che, come diceva già la Redemptoris Missio di San Giovanni Paolo II “è il futuro della missione”, e come dicono le Costituzioni dell’Istituto: “Noi siamo per i non cristiani”. La prima presenza in Asia delle Missionarie della Consolata risale al 2003: insieme con i confratelli dell’Istituto Missioni Consolata si è aperta una missione in Mongolia, paese la cui Chiesa cattolica ha compiuto da poco 25 anni di vita.
Nel 2017 il Capitolo Generale ha concretizzato il progetto di una nuova apertura nel Continente, anzi due: in Kirghizistan e in Kazakistan, ex repubbliche dell’Unione Sovietica. Ed è stato in quest’anno 2020 che, prima della chiusura delle frontiere per la pandemia, un gruppo di quattro sorelle è partito per il Kazakistan (mentre le altre quattro sorelle destinate al Kirghizistan sono ancora ferme in Italia…).
Le prime impressioni
“L’inizio della nostra presenza in Kazakistan la sperimentiamo nel segno della ospitalità e la benedizione – raccontano le missionarie -. Siamo arrivate all’aeroporto di Almaty dopo la mezzanotte. Dopo i dovuti controlli sanitari (pensavamo dovessimo rimanere in quarantena) ci hanno lasciato andare e fuori ci aspettavano Szimon, di origine polacca, che è il nostro parroco a Zhanashar, e P. Gregorio, spagnolo, tutti e due sacerdoti della diocesi di Almaty che abitano insieme nella parrocchia di Kapshagai. La mattina, quando siamo entrate in chiesa ci ha accolto Gesù Eucaristia!! C’era Gesù esposto ed una cristiana in adorazione. Il Parroco P. Arthur ci ha condiviso che oggi sabato 29 di febbraio c’era l’esposizione del santissimo tutto il giorno perché si commemoravano i 25 anni della consacrazione dell’Asia centrale alla Beata Vergine Maria Regina della Pace, patrona del Kazakistan e anche della parrocchia. Siamo andate a guardare un po’ la storia e abbiamo letto che dopo l’indipendenza dell’Unione Sovietica c’è stata la libertà di professione di fede che ha portato il fiorire delle piccole comunità, per questo hanno deciso consacrare l’Asia centrale a Maria Regina della pace”.
La Chiesa in Kazakistan è piccola, ma unita e semplice come una famiglia. L’accoglienza è una caratteristica della gente, e le sorelle l’hanno sperimentata con gratitudine e cuore aperto: “ci ha accolto una nonnina che si chiama Adelina, lei molto carina ha fatto un piccolo discorso d’accoglienza che p. Simon ci ha tradotto in inglese. Diceva che erano felici che noi fossimo venute per rimanere con loro, che desiderava che ci sentissimo a casa, e ha fatto anche una preghiera per la pace e per tutte le persone che soffrono per il coronavirus. Dopo ci ha fatto dono di due barre di cioccolato tipico del Kazakistan: è proprio l’obolo della vedova che ha dato quanto aveva per vivere”.
L’alfabeto del cuore
Una delle maggiori difficoltà è la lingua: le missionarie stanno imparando il russo, e sperimentano la fatica dell’esprimersi e del capire, ma non certo del comunicare: “Al mattino quando eravamo a lavorare l’orto sono venuti i bambini dei vicini: Anelia e Alex, di 9 e 7 anni, sono sorella e fratello molto cari. Ci hanno aiutato a mettere dell’acqua nell’orto e pietrine vicino alle piante; ci capivamo un po’ grazie a google traduttore e piccole frasi. La bambina scriveva quello che desiderava dirci e noi a sua volta rispondevamo scrivendo. Sono i nostri primi amici e un po’ alla volta ci capiremo, per adesso capiamo il linguaggio dell’amicizia”.
C’è un gesto della gente che richiama l’attenzione delle sorelle: la gente toglie le scarpe prima di entrare in casa. Lo hanno letto come un gesto molto significativo per loro stesse, che stanno entrando in questa nuova cultura: “Stiamo entrando in un luogo santo, un popolo in cui Dio si rivela attraverso l’accoglienza. Siamo chiamate a condividere con i piedi scalzi, ossia con rispetto”.
In quest’ultimo mese, con il termine della quarantena, la comunità ha potuto conoscere un po’ di più la realtà che la circonda e visitare vari paesini in cui c’è la presenza di piccoli gruppi di cristiani. Aspettiamo nuove notizie dal Kazakistan!
* Suor Stefania Raspo, missionaria della Consolata