Polonia. La storia di Janina: dalla deportazione alla speranza

di Sr. Maria Rosa Venturelli *

Quando in agosto 1998 ho raggiunto per la prima volta la terra di Polonia, mi sono trovata innanzi a un mondo orientale completamente nuovo, il polmone slavo dell’Europa, da poco uscito dalla cultura comunista, con il crollo del Muro di Berlino nove anni prima. La Polonia e la Chiesa stavano vivendo sfide enormi. Il muro di separazione era crollato, la libertà aveva raggiunto il mondo polacco, ma il cammino verso la democrazia e i valori universali della missionarietà ad gentes, erano ancora in fasce. Ci mettemmo al lavoro con tanta pazienza di imparare e di conoscere.

Di fianco alla nostra casa abitava Pani Janina – la Signora Gianna – con la sua casa povera e diroccata. Era anziana e malata di un tumore al cervello. Il primo anno fu difficile, poi iniziammo a capire e parlare la lingua polacca, per cui comprendemmo la storia tormentata di questa donna, che aveva attraversato un cinquantennio di dominio comunista. Janina era piena di odio, il cuore traboccava di rancore verso Stalin e tutti i suoi satelliti. E ci raccontava piano piano la sua storia, attraverso la rete dei nostri giardini confinanti.

Janina abitava nel sud est della Polonia, in una casa contadina. Aveva 16 anni, quando una notte arrivò la polizia di Stalin, era il 10 febbraio 1940. Dovettero su due piedi lasciare tutto, portando solo un piccolo fagottino attaccato al collo. Gli ordini di Stalin era precisi, i popoli si dovevano mescolare. Il sud del Paese polacco, soprattutto le persone povere o che avevano una casa, dovevano andare in Siberia e popolare quella terra. Furono caricati di notte su dei camion, destinazione ignota. Poi su dei treni sigillati, parecchi morirono in viaggio, arrivarono dopo tre mesi di viaggio nelle lande deserte della Siberia, furono scaricati, era inverno, c’era la neve, erano 30 gradi sotto lo zero. E i treni vuoti ritornarono indietro.

Le persone cercarono di sopravvivere. Janina era partita con i suoi genitori e 7 fratelli. Erano in 10. Suo fratello più piccolo fu il primo a morire di fame, fra le braccia della madre desolata, mentre il figlio chiedeva del pane che lei non aveva. Janina era presente. E la tragedia si iscrisse a caratteri di sangue nella sua anima. Non avrebbe mai perdonato Stalin. Doveva marcire all’inferno per secoli e secoli. E il cuore di Janina si riempì di odio infinito.

Dove il treno li aveva abbandonati, lì abitavano dei soldati con le loro famiglie. All’inizio una volta al giorno davano a ogni famiglia un litro di minestra verde, mezzo chilo di pane per gli adulti, per ogni bambino 300 grammi di pane. Dai 14 anni in su tutti dovevano lavorare la terra, coltivarla e farla fruttificare. Si lavorava tutti i 365 giorni dell’anno. Durante il lavoro era proibito riposarsi, non c’era nessun medico e nessuna medicina. Janina divenne magra come uno scheletro, per il lavoro e la fame. Non c’era sapone, né acqua, né servizi igienici.

Janina ci raccontava: “nel primo anno in quelle condizioni morirono 5 persone della mia famiglia, la sorella Agata di anni 20, il fratello Stanisław di 22 anni, il fratello Jerzy di 9 anni, il fratello Miecysław di 5 anni e il papà”. Tutti morti di stenti e di fame.

A maggio 1945 arrivò la notizia che potevano rientrare tutti in Polonia. Viaggiarono per tre mesi interi, erano pieni di gioia, li attendeva la libertà – raccontava Janina. A settembre arrivarono alla frontiera. C’erano da parte del governo polacco commissioni, riunioni, tanti interrogatori e domande a loro rivolte. C’era anche la Croce Rossa internazionale. Tutti erano scheletri viventi e le autorità dissero loro che non potevano rientrare nella loro terra natale così come erano. Li fecero attendere mesi e mesi alla frontiera, curati in tutto dalle truppe americane, fino a quando diventarono persone normali in carne e ossa. Allora poterono rientrare in Polonia verso marzo 1946. “Il 15 marzo – racconta Janina – entrai nella mia terra nativa. Avevo 21 anni, 5 anni erano passati e non avevo più la mia famiglia. Solo un fratello mi rimaneva. Andammo al sud del Paese, la nostra casa apparteneva ad altre persone”.

Janina in seguito si sposò, dopo pochi anni suo marito morì. Allora emigrò verso Varsavia, dove già viveva su fratello. Si sposò una seconda volta, dopo poco suo marito morì. Lei non poteva avere figli, a causa delle violenze subite. Allora venne ad abitare vicino a casa nostra, tutta sola, affittava camere agli studenti universitari, e lì noi la incontrammo. Non parlava mai con nessuno, faceva fatica. Nel frattempo si ammalò di tumore al cervello e subì diversi interventi. Ebbe paresi facciali.

Quante volte la invitai a venire in chiesa con me la mattina presto. Non poteva venire, odiava Dio. Piano piano però la situazione migliorò, ci vedeva accoglienti e serene, la aiutavamo nei momenti di necessità e il suo cuore di odio cominciò a sgretolarsi. Dopo due anni, una mattina, era Pasqua, disse che voleva venire a Messa con noi nella parrocchia. La preghiera, i canti, tanta gente, le piacque moltissimo. Da allora ci accompagnò ogni mattina fino a un mese prima della sua morte.

Mi diceva: “Adesso posso morire, sono serena nel cuore, il Signore mi ha fatto il dono della vostra presenza e della vostra fede. Ha fatto fiorire nel mio cuore il dono del perdono. Ho perdonato Stalin e prego per lui ogni giorno. Sono pronta per andare dal Signore”. Morì sola in ospedale, l’avevamo visitata qualche giorno prima.

Un giorno era venuta a trovarla una sua nipote dalla Francia, era figlia del fratello. Le fece scrivere alcune pagine delle sue Memorie, tre paginette, scritte a macchina. Le pubblicò in Francia sui quotidiani francesi, per fare conoscere gli orrori dei tempi passati. Le sue Memorie avevano questo titolo: “La tragedia della mia giovinezza”.

Possiedo ancora un originale di queste “Memorie sante”, per me sono una Sacra Scrittura vivente, che leggo e contemplo di tanto in tanto per prendere coraggio, da questa donna forte e biblica: Janina!

* Sr. Maria Rosa Venturelli, missionaria comboniana. Ha lavorato per 12 anni in Zaire (attuale Repubblica Democratica del Congo) e 10 anni in Polonia. Autrice di Terra e Missione

Crediti foto: Pornpak Khunatorn/Collezione Essentials/Getty Images

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