Con coraggio, afferrati da Cristo

«Coraggio, sono io, non abbiate paura!» (Mt 14,27). Commento al Vangelo del 9 agosto, XIX domenica del tempo ordinario, a cura di Don Pierluigi Nicolardi*

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 14,22-33)
[Dopo che la folla ebbe mangiato], subito Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla. Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo.
La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!».
Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?».
Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio!».
Parola del Signore

C’è un episodio nel Vangelo che, tra gli altri, esprime in modo significativo e plastico la vicenda umana; questo episodio è quello che ascolteremo domenica prossima, XIX del tempo ordinario.

Gesù, dopo aver sfamato i cinquemila e aver guarito i malati, cerca di allontanarsi in un luogo solitario; egli cerca nuovamente il dialogo con il Padre, soprattutto perché è cosciente del rischio che le folle interpretino il gesto dei pani e dei pesci in senso politico (nel Vangelo di Giovanni Gesù si ritira nel deserto perché le folle lo volevano re, cf. Gv 6,15). Invita i discepoli a salire su una barca e precederlo nell’altra riva. La barca è simbolo della Chiesa che solca e attraversa il mare della storia; e come per ogni barca, solca non solo il mare in bonaccia, ma anche in tempesta.

Tale è la nostra vita. Come in una tempesta nella notte dell’esistenza, siamo presi da timore e sconforto perché sopraffatti dalla solitudine e dalla lontananza dal Signore. La paura non permette ai discepoli di riconoscere Gesù che cammina sulle acque verso di loro; questo gesto è una sorta di teofania, di manifestazione di Gesù: nonostante le tempeste e il male che cercano di abbattere la barca dell’umanità e della Chiesa, Gesù è più forte del male. Egli domina le potenze del mare, simbolo di potenza distruttrice e di morte; in diverse occasioni Gesù si rivolge al mare “personificandolo” con il male ed esorcizzandolo con il grido: «Taci!» (cf. Mc 4,39).

Gesù, andando verso i discepoli, li invita ad avere coraggio manifestandosi come il Signore: «Coraggio, sono io, non abbiate paura»; egli usa questa espressione che ricorre diverse volte nell’Antico Testamento ed ha un chiaro gusto profetico. Ora esorta anche noi ad avere coraggio, a non lasciarci atterrire ed affondare dalle zavorre delle nostre paure. Il nostro, purtroppo, non è il tempo dei coraggiosi: «Disillusione, sfiducia, sconforto, rassegnazione, paura. Ecco le parole del nostro presente – scrive Umberto Ambrosoli. Il “coraggio” è vittima di questa dinamica e lo si ritiene ormai un comportamento fuori dal tempo e talmente poco comune da sottolinearlo con enfasi anche quando è riferito ad azioni che null’altro sono se non un elementare e doveroso esercizio di una responsabilità assunta» (U. Ambrosoli, Coraggio, Bologna 2015, p. 7).

Gesù ci riporta all’essenza di quella parola: coraggio, cor habeo, avere il cuore in mano e rialzarci dalla paralisi delle nostre paure. Egli ci invita a guardare la storia con il cuore e a riconoscere la sua presenza nel mondo. Come Pietro, anche noi possiamo solcare la tempesta accanto a Gesù, ma solo se ci fidiamo di lui: quando manchiamo di fiducia anche noi rischiamo di affondare. Fissiamo il nostro sguardo in quello salvifico di Gesù, lasciamoci afferrare e dalla sua mano potente e riportarci in alto, accanto a lui.

Stefano Zamagni scrive: «Prudente è chi sa vedere le cose come davvero sono, senza preconcetti. E agisce di conseguenza. Manca di prudenza, invece, chi per paura chiude gli occhi di fronte alla realtà. La dote più interessante della prudenza è saper vedere le cose, le situazioni come sono, non come le fa sembrare la paura o come le deforma l’interesse proprio» (S. Zamagni, Prudenza, Bologna 2015, p. 35).
Con Gesù, afferrati dal suo amore, impariamo ad avere coraggio.

Don Pierluigi Nicolardi

* Presbitero della diocesi di Ugento – S. Maria di Leuca, Amministratore Parrocchiale di «S. Antonio da Padova» in Tricase (Le), Direttore dell’Ufficio Diocesano per la Famiglia e AE di zona AGESCI «Lecce Ionica». Autore di Terra e Missione

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