«Ecco l’Agnello di Dio». Camminiamo da discepoli nella vita nuova

Don Pierluigi Nicolardi* commenta il Vangelo di domenica 17 Gennaio. Lasciamoci guidare da Gesù, l’Agnello di Dio, che ci chiama ad una vita nuova alla sua sequela

Nella scansione temporale di questi primi due capitoli del quarto Vangelo, al terzo giorno, il Battista indica Gesù ai primi discepoli.
Giovanni Battista il primo giorno parla di Gesù, lo testimonia, pur non avendone ancora fatta esperienza personale. Il giorno seguente lo incontra e lo indica ai giudei come colui che può togliere il peccato del mondo. Il giorno seguente, il terzo appunto, lo indica nuovamente come l’Agnello di Dio, questa volta a due dei suoi discepoli.

«Giovanni era ancora là», a Betania, al di là del Giordano, luogo della sua predicazione e della sua azione come battista; e con lui ci sono due discepoli, Andrea, fratello di Simone, e un altro discepolo. Chi è questo discepolo anonimo? Secondo alcuni studiosi, soprattutto della scuola dell’esegesi narrativa, il non citare il nome dell’altro discepolo sarebbe un espediente letterario per coinvolgere il lettore nel racconto (cf. Lc 24,18): l’altro discepolo chiamato sono io.

Cosa vuole dire che Gesù è l’Agnello di Dio?

Il Battista, per indicare Gesù, utilizza il titolo cristologico “Agnello di Dio”; egli, parlando ai Giudei, evoca almeno due immagini dell’Antico Testamento:

  1. l’Agnello pasquale (cf. Es 12,1-14). Gesù è il vero Agnello, colui che, senza difetti e senza macchia (cf. 1Pt 1,19), è immolato per la salvezza di tutti; mentre il sangue dell’agnello dell’antica alleanza segnava gli stipiti delle porte degli ebrei, il sangue del vero Agnello segna i salvati (cf. Ap 7,4-14).
  2. Il capro espiatorio (cf. Lev 16,5-10). Giovanni Battista il giorno prima specifica che l’Agnello è «colui che toglie i peccati del mondo». Come il capro espiatorio, Gesù è caricato del peccato di molti e sacrificato per la nostra salvezza.

All’indicazione di Giovanni, i discepoli si mettono alla sequela di Gesù. È bello pensare che si realizza quanto aveva predicato Giovanni: all’udire la voce, i discepoli seguono la Parola. Il cristianesimo trova la sua essenza in questa breve sequenza di eventi: un testimone annuncia e indica Gesù, chi ascolta si mette alla sua sequela.

Scrive Benedetto XVI:

«All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì un incontro con un avvenimento, con una Persona, cha dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione definitiva» (Deus caritas est, n. 1).

È quello che sperimentano Andrea e l’altro discepolo: essi non incontrano una filosofia, ma la Sapienza stessa, ne fanno esperienza e inizia per loro una vita nuova.
Questa vita nuova è segnata dallo sguardo amorevole di Gesù che guarda, ama e chiama. E chiama rivolgendo loro una domanda: «Che cosa cercate?». L’umanità ha sempre sete di conoscere ed è significativo che Gesù, all’inizio di questo incontro, ponga proprio una domanda di senso. Tutta la nostra vita è ricerca dell’Uno, del Bene e del Vero, e proprio l’Uno, il Bene e il Vero suscita la ricerca.

La risposta dei discepoli non si fa attendere: «Rabbì, dove dimori?»; l’umanità cerca Dio come Dio, agli inizi dei tempi, cerco l’uomo nel giardino e, mentre l’uomo si nascose (cf. Gen 3,9), Dio invita a seguirlo e a lasciarsi trovare.

Il profeta Isaia dice:

«Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino» (Is 55,6), egli non si nasconde, ma viene incontro a noi. «Venite e vedete» è la risposta di Gesù che invita i discepoli a seguirlo e a fare esperienza di lui, a stare con lui.

L’evangelista Giovanni, con minuzia di particolari, annota l’ora dell’incontro: «era l’ora decima». L’incontro con Gesù rimane indelebile nel cuore dei discepoli; il giorno atteso da sempre giunge nell’ora della compiutezza, l’ora decima. La Legenda Aurea di Jacopone da Varazze associa l’ora X alla profezia del martirio di Andrea, la morte sulla croce decussata (X).

L’incontro con il Messia non resta nell’intimo del cuore dei discepoli; come il Battista, anche Andrea diviene incontenibile testimone di Gesù e corre dal fratello Simone ad annunciare di aver incontrato il Messia. Usando questo titolo, Andrea presenta Gesù come l’atteso dell’uomo, colui che può dare risposta alla ricerca di senso.

Gesù, fissando lo sguardo su Simone, lo chiama per nome e poi gli dà il nome nuovo: «Ti chiamerai Cefa». È il nome che conosce solo Dio, quello della nostra vocazione e missione; Gesù, pronunciandolo, invita anche Pietro ad una nuova esistenza.

Anche noi siamo invitati ad ascoltare la voce dei testimoni e a lasciarci penetrare dallo sguardo amorevole di Gesù che pronuncia il nostro nome nuovamente chiamandoci ad una vita nuova alla sua sequela.

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 1,35-42)

In quel tempo Giovanni stava con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù.Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa maestro –, dove dimori?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio.
Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro.

Don Pierluigi Nicolardi

* Presbitero della diocesi di Ugento – S. Maria di Leuca, Parroco di «S. Antonio da Padova» in Tricase (Le), Direttore dell’Ufficio Diocesano per la Famiglia e AE di zona AGESCI «Lecce Ionica». Autore di Terra e Missione

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