La recensione di “Più che la notte” di Graziella Bonansea, romanzo che ripercorre la storia di Padre Massimiliano Kolbe attraverso gli occhi di un giovane dei nostri giorni.
di Maria Rosa Venturelli*
“Più che la notte” è il quinto romanzo di Graziella Bonansea, storica e scrittrice. Scrive l’autrice che il volume è dedicato a “donne e uomini della mia generazione che hanno attraversato le acque scure”.
Si legge nella prefazione: “Solo un atto di fiducia ci permette di combattere contro il male, contro il rischio della disperazione, contro la tentazione della resa”.
È necessario leggere un paio di capitoli prima di riuscire a entrare nella trama del romanzo. Dopo si legge in modo scorrevole, anche se dopo ogni capitolo è utile fare una pausa, è un libro che non si può leggere tutto d’un fiato.
Ho vissuto in Polonia circa 10 anni e quindi conosco bene i luoghi di Auschwitz e la cella della morte, chiamato il bunker, dove Massimiliano Kolbe ha vissuto gli ultimi giorni della sua vita. Ho incontrato persone che lì hanno vissuto e sono sopravvissute. Anche per questo il romanzo mi ha coinvolto intensamente e mi ha fatto fare un percorso nella memoria del mio vissuto in quella terra.
Andando a visitare quel lager di morte, mentre attraversi il paese, chiamato in polacco Oświęcim, ancora oggi vedi un cielo cupo, che ti fa respirare un’aria di morte lugubre e nera. Si respira e si gusta la tragedia del male che lì è stata vissuta da coloro che erano perseguitati e da coloro che credevano di essere al di sopra di ogni vita umana. Bisogna andare lì per capire meglio questa memoria raccontata nel romanzo di Graziella Bonansea.
Il gesto profumato e dal sapore di eternità di un prigioniero sacerdote, un solo numero a identificarlo, è stato ed è capace di far vibrare il cuore ancora oggi. L’autrice c’è riuscita.
Un romanzo storico in parte, che lega le generazioni di quei tempi lontani con le nuove generazioni che nulla hanno gustato dell’odore della morte che ad Auschwitz ha dilagato per diversi anni. Attraversando quei luoghi più volte mi sono chiesta: ma la gente di quella cittadina che cosa capiva? Non poteva non sapere. Tanti hanno aiutato, ma tanti hanno fatto finta di niente, si sono chiusi nelle loro sicurezze, spesso per salvare le proprie famiglie.
L’autrice è andata dentro questa situazione di morte, non ci è passata sopra. Per lei era necessario guardarla dal di dentro con lo sguardo di un ragazzo 19enne di oggi, Guglielmo, che in lui ha lasciato un segno di vita e ha tracciato il suo futuro.
“Più che la notte” di Graziella Bonansea (Edizioni San Paolo 2021, pp. 416, euro 20,00)
È evidente che in quella immane tragedia la verità è stata soffocata, chiusa, avvolta da una coperta pesante, difficile e rischiosa da scoperchiare. Sì, bisogna aguzzare la vista per cogliere nel buio del male il lucignolo fumigante di una fede incrollabile, quella di San Massimiliano Kolbe.
Una luce che ha spinto Guglielmo alla ricerca della memoria, ha coinvolto una comunità di studenti e la loro insegnante di filosofia, ha fatto interagire fra loro amici e amiche, fino anche a togliere il sonno e la pace del cuore.
La bestia della morte, ognuno/a di noi la porta dentro di sé, ma è sempre possibile un …rientro, un ritorno alle sorgenti del bene, che nell’anima sono scolpite a caratteri di sangue e di vita.
Si coglie, come vediamo nell’attuale pandemia, che il corpo e la terra si ribellano al male, alle spirali di una violenza umana onnipotente e pagana.
Anita, la moglie del capo che si fregia del diritto di morte su altri fratelli e sorelle, è la figura e l’icona di ogni giovane donna e madre che riesce a svegliarsi, non troppo tardi, dalla cecità della sottomissione, della violenza, della freddezza, della indifferenza di un uomo plagiato e malato, ma potente. Questa giovane donna ha avuto il coraggio di saltar fuori dalle tenebre di un vissuto che appassisce il cuore, la mente, lo spirito. “L’uomo ego”, indottrinato e succube di leggi ingiuste e razziali, rende immobile l’altra persona, la rovina dentro, le inietta paura, veleno, sensi di colpa, che formano attorno a lei una griglia indistricabile. Ma la vita vince, Gesù Risorto vince, Massimiliano ha vinto.
Viene posta in sordina una domanda: come è possibile che nessuno stia pensando davvero di mettere un freno alle forze del male devastante? Solo il profumo della carità oblativa vissuta, anche in un oceano di morte, ricreerà nel tempo sentieri di vita, di rinascita, di solidarietà.
San Massimiliano Kolbe si è lasciato andare a una Volontà più grande di lui, quella di Gesù Crocifisso e Risorto, mentre Maria, la Madre, lo sosteneva e lo rendeva capace di consolare fino all’ultimo respiro i suoi compagni di morte, nella cella famigerata. L’ultima preghiera appena abbozzata sulle sue labbra, mi piace pensare, che sia stata rivolta al capo che gli iniettava il veleno letale. Massimiliano, con i suoi desideri e sentimenti, ha cercato di portare giù il cielo, nell’inferno di una tragedia abissale. In quella cella, nell’interrato del lager, stava succedendo qualcosa che non è di questo mondo.
E si coglie allora nei personaggi la difficoltà e la loro lotta interiore, a passare da un bordo a un altro, da una riva a un’altra, quando hanno capito quali sono le strade da percorrere per il proprio futuro.
Emerge nel testo come sia importante amare le persone per quello che sono, prendendole come sono, solo così mettono radici e crescono relazioni vere e significative.
È forte la frase che usa l’autrice: “Il Signore ci stana e ci tira fuori dalle crepe dove ci siamo infiltrati”. E questo è possibile quando si ascolta la voce che abita nel cuore, perché non solo l‘amico o l’amica, “ma Dio stesso è al centro del tuo cuore”.
Interessante e splendido il coinvolgimento dei colleghi di Guglielmo e della sua insegnante, della sua ragazza, nel portare alla luce attraverso il dramma, la musica, la danza, l’evento vissuto un giorno lontano, un evento che profuma di vita e di santità autentica ancora oggi. Offrire la propria vita, perché un altro prigioniero, un padre di famiglia, possa ritornare a casa.
Questa offerta gratuita e radicale, fa infuriare il capo delle SS, che lentamente, giorno dopo giorno, scende nell’inferno della colpa, della legge che strozza la vita, fino a renderlo esangue nel cuore, nel corpo, nello spirito.
* Sr. Maria Rosa Venturelli, missionaria comboniana. Ha lavorato per 12 anni in Zaire (attuale Repubblica Democratica del Congo) e 10 anni in Polonia. Autrice di Terra e Missione