“Romena. Porto di terra”: in 200 pagine la storia della Fraternità dove si «coltiva» l’anima

Nel nuovo libro “Romena. Porto di terra”, scritto da Massimo Orlandi per le edizioni San Paolo, la storia della Fraternità di Romena in occasione dei trent’anni di attività.

Recensione a cura di Patrizia Morgante

“Era un libro la nostra chiesa. E ci parlava, invitandoci a offrire una ospitalità larga, aperta, non giudicante. ‘Entra, ti aspettavamo’ era una delle frasi della nostra accoglienza che anche la pieve pronunciava con il suo linguaggio di simboli.
Non avevamo bisogno di costruire regole, idee, indirizzi su quello che volevamo diventare: bastava assomigliarle.”

Questa citazione racconta ciò che è la Fraternità nata intorno alla Pieve di Romena (in provincia di Arezzo): un ‘porto di terra’ dove i viandanti possono trovare accoglienza e un posto dove riposare, dove poggiare il capo, dove ri-trovarsi, dove iniziare a sanare le proprie ferite, dove sostare con altri viandanti. Un luogo dove si può essere sé stessi, fragili e vulnerabili, senza essere giudicati.

Massimo Orlandi, classe 1965, nato e cresciuto nel casentino, giornalista e scrittore, autore del libro, ci offre (finalmente!) in circa 200 pagine la storia della Fraternità di Romena: una realtà da molti conosciuta per i suoi corsi sulla spiritualità e la presenza di Don Gigi (Luigi Verdi), il fondatore; ma che pochi conoscono nel suo percorso storico e in quegli aspetti che, solo chi li ha vissuti dal di dentro, può condividere. Massimo lo fa senza nascondere le difficoltà interne alla Fraternità stessa e le resistenze incontrate in più di 30 anni di attività all’interno della Chiesa stessa.

Massimo Orlandi

La Fraternità nasce da un sogno e da un desidero profondo emersi da un momento di crisi del fondatore: don Gigi. In accordo con il Vescovo si fa affidare la Pieve per creare uno spazio dove lui potesse esprimere il suo stile di sacerdozio e allo stesso tempo dare vita a una fraternità che fosse chiesa ‘ospedale da campo’, come la sogna Papa Francesco.

Romena è una pieve romanica. Uno stile, il romanico, dove l’orizzontalità (l’umanità) e la verticalità (la tensione verso il divino e il mistero) si integrano armoniosamente. La pieve è bella, è silenziosa; si fa abitare e sa accogliere, chiunque. È aperta e spoglia, essenziale e nuda. Lo spazio comunica questo a chi vi entra. È accaduto anche a me.

Oggi la Fraternità di Romena ha allargato i suoi spazi ristrutturando parti abbandonate. Ristrutturare vuol dire ridare vita. Chi l’ha visitata sa che può trascorrere del tempo in una delle piccole cappelline create per ogni tipo di viandante oppure nella libreria o percorrendo la via della resurrezione: ogni spazio è curato nei dettagli per dire bellezza, amore, accoglienza e Dio, senza quasi mai pronunciarlo. Ci sono oggetti della vita quotidiana (non dimentichiamo che il Casentino è un’area contadina) e bellissime icone che raccontano la vita di Gesù con un linguaggio che arriva al cuore, all’anima.

La ristrutturazione degli spazi ha sempre seguito il percorso umano e spirituale che il gruppo vicino a Don Gigi percorreva insieme ai vari viandanti e agli ospiti speciali. I luoghi fisici vengono gestati e realizzati per servire le diverse esigenze dei gruppi che ruotano intorno alla fraternità.
Un esempio è la sala del mandorlo che richiama il quadro di Van Gogh: il mandorlo è un albero che fiorisce in pieno inverno come a dire che esiste speranza anche nel buio. Il mandorlo è l’albero che rappresenta il gruppo Naím di Romena: genitori che hanno perso un figlio o una figlia si ritrovano per condividere il lutto e scorgere, insieme, semi di vita dal dolore che li avvolge.

Perché le ferite possono essere feritoie per far entrare la luce, canta Simone Cristicchi, un grande amico di Romena. Ma questo richiede un cammino da percorrere in Fraternità, senza fretta e senza giudizi. Accettando la propria fragilità alla ricerca di luce.
Tutto questo è Romena.

“Il conflitto tra bene e male non si risolveva con i parametri della morale, ma ispirandosi alla parabola evangelica della zizzania e del grano. Il contadino li vede crescere entrambi nel suo campo. Ma non estirpa la zizzania. Dà fiducia la grano.
In quello spazio non dovevamo spingere le persone a mortificarsi per i propri difetti, ma a far fiorire la propria umanità.”

Alla fine del libro sorge una domanda: e se la nostra Chiesa fosse proprio come questa Pieve, bella e silenziosa, che accoglie chiunque arrivi, con le sue insicurezze e difficoltà, e lo faccia sentire amato e desiderato?

Massimo Orlandi ha scritto questo testo per sé stesso: per ricucire e dare senso alla sua storia personale, così ben intessuta insieme a quella della Fraternità. Ma lo ha scritto anche per chi non ha mai visitato Romena: come un invito a lasciarsi accogliere per entrare dentro noi stessi.

Per informazioni: www.romena.it

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