I poveri non ci lasceranno dormire

“I poveri non si contano, si abbracciano”. L’editoriale di p. Antonio D’Agostino*, missionario comboniano, in vista della V Giornata Mondiale dei Poveri

Il prossimo 14 novembre 2021 la Chiesa celebrerà la V Giornata Mondiale dei Poveri, evento voluto ardentemente da Papa Francesco nel 2016 quando, guardando le migliaia di poveri che riempivano la Basilica di San Pietro durante il Giubileo della Misericordia, annunciò il suo desiderio per la Chiesa di avere la sua giornata mondiale dei poveri.

In realtà, questa del Papa non è un’idea nuova, ma rientra pienamente nel programma del suo pontificato. Nel 2013, in un incontro con i rappresentanti dei media aveva esclamato: “Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!”; un’espressione che divenne immediatamente virale e ricevuta come elemento di novità dalla società mondiale.

A dire il vero, una frase simile l’aveva pronunciata Giovanni XXIII a un mese dal Concilio Vaticano II quando, volendo affermare l’immagine di Chiesa da lui sognata, disse: “In faccia ai Paesi sottosviluppati la Chiesa si presenta quale è, e vuol essere, come la Chiesa di tutti, e particolarmente la Chiesa dei poveri” (1962). In quello stesso anno, durante l’impostazione generale dei lavori per il Concilio, l’arcivescovo di Bologna, Giacomo Lercaro, fece un intervento rimasto famoso nella definizione dell’identità stessa della Chiesa. Partendo da Is 61,1-2 e Lc 4, 18 (elemento cristologico) fino a Mt 25, 31ss (elemento escatologico), disse: “Rispetto a quest’ora dell’umanità e a questo grado di sviluppo della coscienza cristiana, deve essere il Concilio della Chiesa, particolarmente e soprattutto la Chiesa dei poveri”. In questo modo Lercaro dava a intendere che la povertà è il modo d’essere fondamentale della Chiesa.

E se questo è il modo di essere della Chiesa, allora la sua missione, seguendo l’esempio del suo fondatore, che “da ricco che era si fece povero” (2Cor 8,9) per rivelarci l’amore del Padre e liberarci da ogni schiavitù, sarà sempre quella di soccorrere gli afflitti, sollevare quanti sono nell’indigenza, riconoscendo in loro l’immagine di Gesù, povero e sofferente, e servendolo con amore. Sì, perché, come diceva don Primo Mazzolari, “I poveri non si contano, si abbracciano”.

Papa Francesco chiama questo “toccare la carne di Cristo” e ci assicura che i poveri, gli abbandonati, gli infermi e gli emarginati sono la carne di Cristo. Sono persone messe in ginocchio da sistemi sociali perversi, ma che niente e nessuno potrà mai strappare via la loro dignità di figli e figlie di Dio Padre e Madre.

Proprio come quella donna presente in Mc 14, con cui Papa Francesco introduce il suo messaggio per la V giornata mondiale dei poveri; una vicenda che permette al Pontefice di riflettere anche sul ruolo da protagoniste delle donne nella storia della rivelazione e su Gesù come “povero tra i poveri perché li rappresenta tutti” e ne “condivide la stessa sorte”.

Chi ha scoperto l’amore del Signore è in grado di condividere tutto ciò che è e tutto ciò che ha; e questa donna, in quel profumo versato e nel suo pianto liberatorio, ci evangelizza e ci invita a costruire, con quanti si trovano in difficoltà, legami fraterni e a fare causa comune con loro, avendo come scopo ultimo la loro inclusione sociale e la loro partecipazione attiva nella ricerca di un mondo migliore e più umano.
Meraviglioso, in questo senso, l’esempio di vita di Padre Damiano di Veuster, che fece causa comune con i lebbrosi di Molokai, fino a morire anch’egli di lebbra!

La mia esperienza a Korogocho e in Ecuador ha avuto proprio come fondamento il camminare insieme agli impoveriti, i crocifissi della terra, le vittime del Sistema: la gente della discarica, i ragazzi di strada, le ragazzine costrette a prostituirsi, i giovani che formano delle bande per andare a rubare, i malati di Aids. Sono loro infatti, come ci dice Papa Francesco, il volto di Cristo oggi.

C’è bisogno di un cambio di mentalità, ci dice il Pontefice, credere finalmente che i poveri non sono tra noi come oggetti per la nostra carità, ma come i veri soggetti dell’evangelizzazione, perché ci ricordano continuamente quanto siamo lontani dal Progetto del Padre: “che tutti abbiano vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10); e fintanto non ci sarà equità “i poveri li avremo sempre con noi!”.

Cause dell’impoverimento

Continuando la sua riflessione Papa Francesco afferma apertamente che “la povertà non è frutto del destino, ma la conseguenza dell’egoismo”; è sbagliato pensare che i poveri siano essi stessi “colpevoli della loro condizione”, e quindi chi se ne frega di loro. In questo modo, dice il Papa, non ci sarà mai vera “democrazia e ogni politica sociale diventa fallimentare”; mi permetto di aggiungere che in questo modo non ci sarà mai vera pace, dove tutti possano considerarsi fratelli e sorelle, perché non c’è giustizia sociale.

La conditio sine qua non, allora, è il cambio del nostro stile di vita che deve essere coerente con la fede che professiamo. Come discepoli di Gesù siamo vivamente invitati a non accumulare ricchezze effimere, a contrastare la cultura dell’indifferenza e dell’ingiustizia, e ad accogliere la sfida della condivisione e della partecipazione, aprendo cammino verso una cultura della solidarietà.

Ciò sarebbe l’esatto contrario della logica del profitto che condiziona le società di oggi, nelle quali “sembra farsi strada la concezione secondo la quale i poveri non solo sono responsabili della loro condizione, ma costituiscono un peso intollerabile per un sistema che pone al centro l’interesse di alcune categorie privilegiate. Un mercato che ignora o seleziona i principi etici crea condizioni disumane che si abbattono su persone che vivono già in condizioni precarie”.

Cosa fare per il superamento delle disuguaglianze sociale?

Nella sua lettera Papa Francesco da alcuni suggerimenti importanti:

• occorre un cambiamento di mentalità;
• no a uno stile di vita individualistico;
• essere amici dei poveri, ascoltarli, comprenderli e accogliere la sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro;
• scegliere di non accumulare beni, scegliere uno stile di vita sobrio (Mt 19,29), ed essere pronti a donare la nostra vita per amore;
• andare incontro a quanti vivono nell’indigenza, raggiungerli là dove si nascondono pieni di vergogna, stabilire legami umani perché sentano di essere accolti come persone che hanno una propria dignità e coinvolgerli nel cambiamento di vita;
• io aggiungerei: Ricominciare dalle piccole comunità cristiane, dall’ascolto della Parola e nella trasformazione della società, verso la sua umanizzazione (At 2,42-45).

Diceva Madre Teresa di Calcutta:

Essere non amati, non voluti, dimenticati…
è questa la grande povertà,
peggio di non aver niente da mangiare.

Chiediamo al Signore, che da ricco si fece povero, la grazia di vivere poveri, rivedendo il nostro rapporto con le cose, con il denaro, con il potere e con gli affetti. Il nostro Dio, che è padre e madre per tutti noi, sa quanto ne abbiamo bisogno per non spegnerci in una vita troppo comoda e garantita, talmente lontana dalla condizione dei poveri da non farci più sentire la sete di Cristo e di una umanità viva e genuina, capace di spendersi.

Padre Antonio D'Agostino, missionario comboniano

* P. Antonio D’Agostino è missionario comboniano, attualmente in Italia e impegnato nella Pastorale Giovanile a Padova. Come esperienze di missione all’estero, ha vissuto 10 anni in Africa, tra Uganda e Kenya, e 14 in Ecuador, dove ha anche conseguito la laurea in antropologia.

Crediti foto: StephM2506a/Collezione Essentials/Getty Images

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