«Fin da bambini si può essere “missionari”, protagonisti di un cambio di rotta che faccia approdare l’umanità verso l’accoglienza e la tenerezza». Intervista a Monica Puto, volontaria di “Operazione Colomba”.
di Anna Moccia
«Spesso nel mondo cattolico si adopera la parola “missione” quando un religioso o un laico, donna o uomo e di ogni età, dona la propria vita per compiere un mandato in qualsiasi parte del mondo, ma spesso fuori dalla Patria di origine. Mi piace però pensare a questa parola in una prospettiva ancora più ampia, dove non esistono luoghi o spazi o competenze precise per svolgerla, ma, semplicemente, si faccia missione laddove c’è una sfida, dove alberga un’ingiustizia, dove venga violato un diritto». Così Monica Puto, volontaria di Operazione Colomba, attualmente impegnata in Colombia al fianco dei contadini che vivono nella Comunità di pace di San José de Apartadó, nel dipartimento di Antioquia.
«In questo modo ognuno di noi troverebbe la sua missione molto facilmente e ciò di cui avrebbe bisogno non sarebbe un abito, una professione o un’abilità specifica, ma solo tanto coraggio e coerenza», continua Monica, ponendo una domanda che ci interroga nel profondo: “Sarebbe troppo pensare che, così facendo, cambieremmo il mondo? Credo di no, perché significherebbe che tutti, ma proprio tutti, almeno una missione di giustizia la potremmo compiere nella nostra vita. E ancora di più mi piace pensare e sperare che, anche fin da bambini, si possa essere protagonisti di un cambio di rotta che faccia approdare l’umanità verso l’accoglienza e la tenerezza».
È dal 2009 che Operazione Colomba ha aperto una presenza permanente di “accompagnamento protettivo internazionale” in Colombia su richiesta di un gruppo di contadine e contadini che, per aver intrapreso un processo di resistenza nonviolenta in una delle terre “più ricche” del mondo, vivono da più di 20 anni sotto costanti minacce di morte.
«Da alcuni angoli di mondo, come qui nella Comunità di Pace di San José de Apartadó – dichiara la volontaria -, certamente ci si trova spettatori privilegiati di un impegno verso la ricerca della giustizia del tutto fuori dal comune. In qualche modo, la sofferenza subita in tanti anni di conflitto non ha mai fatto prendere loro la via della vendetta, ma piuttosto quella del perdono e del cor-aggio, cioè dell’agire con il cuore. Da come lasciano scivolare tra le dita i semi di riso o i chicchi di mais nel terreno a come dipingono sui muri o sui gusci del seme del totumo la storia della loro lotta e resistenza, i contadini e le contadine della Comunità di Pace costruiscono il cambio di rotta; da come respirano uniti come fossero un solo polmone e, nello stesso tempo, agiscono in modi distinti, poiché ognuno sa bene qual è il proprio ruolo, la Comunità di Pace compie la sua missione».
Un contesto estremo di violenza quello di San José de Apartadó, che negli anni ha visto più di 300 persone di questa comunità assassinate dai diversi attori armati.
«Queste persone – racconta Monica Puto – hanno versato e versano tante lacrime, a causa delle ingiustizie e delle numerose vittime innocenti in un Paese difficile e violento, ma i loro occhi non hanno mai smesso di guardare ben al di là del male, per veder molto chiaramente il cammino che vogliono fare, il cambio che vogliono essere. Per questo credo che ciascuno di noi sia chiamato a questo cambio, perché anche le nostre lacrime creano uno spazio fertile alla missione di giustizia sia che sia rivolta a se stessi o agli altri. Basta a volte anche solo un gesto, lo sporgersi verso l’altro, il saper ricevere dall’altro. Certo una sfida ai nostri limiti e timori, ma anche un dovere nei confronti di chi ha scelto, come missione di vita, la pace e la libertà ed è disposto a morire per ottenerle, compiendo questo gesto anche per tutti noi».