La consolazione nella Bibbia

Nella Bibbia la consolazione giunge proprio nei periodi di difficoltà. Quali sono le parole della fede di fronte a chi soffre? Meditazione a cura di Suor Stefania Raspo, missionaria della Consolata.

La Bibbia presenta, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento, la consolazione come esperienza dell’essere umano in relazione con Dio. In particolare è il profeta Isaia che annuncia a Israele la consolazione di Dio: in un momento duro per la storia del popolo, l’invito è a gridare su un alto monte:

Consolate, consolate il mio popolo!” (Isaia 40,1), perché il Signore viene, la schiavitù è finita, così come la lontananza di Dio. Dio consola il “suo” popolo: segno di un’appartenenza che è fonte di consolazione. Da parte sua, il popolo può godere della presenza di Adonai, che è consolazione. Non si tratta di un’esperienza intimista, piuttosto di una presenza che si fa missione e annuncio: “Consolate!”. Il profeta annuncia ed invita ad annunciare per consolare.

Il Salmo 119, una meravigliosa preghiera sulla Parola di Dio, dice: “Questo mi consola nella miseria: la tua parola mi fa vivere” (Salmo 119, 50): la Parola di Dio è luce, lampada per i passi del credente, ed è anche consolazione, perché in essa scopriamo la dolce verità, la profonda rivelazione: Dio mi ama ed è sempre con me, e come dice un noto versetto del Salmo 22: “Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me” (Salmo 22,4).

Il Nuovo Testamento riconosce in Gesù la Consolazione fatta carne: Luca racconta che Simeone, uomo giusto, stava aspettando la consolazione di Israele, e l’ha riconosciuta in un bambino in braccio a sua madre. Lo Spirito Santo lo ha mosso ed illuminato:

A Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. 26Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. 27Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, 28anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
29«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo
vada in pace, secondo la tua parola,
30perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
31preparata da te davanti a tutti i popoli:
32luce per rivelarti alle genti
e gloria del tuo popolo, Israele».

Gesù è salvezza, Gesù è luce, e per questo è la vera consolazione. Ma l’incarnazione fa sì che le cose siano decisamente molto concrete: la consolazione ha un nome, un volto; è una presenza, un “tu” con cui entrare in relazione. L’Antico Testamento lo affermava, e il Nuovo Testamento lo ribadisce: la consolazione nasce dall’incontro con Dio, dalla sua Parola che è luce (anche Gesù è riconosciuto luce da Simeone!) ma la Parola si è fatta carne, perciò la consolazione nasce, cresce nell’incontro e nella relazione con Gesù.

Lo riassume mirabilmente San Paolo nella seconda lettera ai Corinti:

3 Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, 4 il quale ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio” (2 Corinti, 1,3-4).

Anche qui, come in Isaia, l’esperienza della consolazione ci apre all’altro: San Paolo lo sa bene, lui che ha incontrato Gesù in un modo forte, radicale, in modo che non poteva non annunciarlo: “Guai a me se non annuncio il Vangelo!” (1 Corinti 9,16). Trovare la consolazione, essere consolati e diventare consolatori. Il Vangelo non è una bacchetta magica che ci toglie i problemi, ma ce li fa vivere in un modo nuovo: riconoscendo la presenza amorosa di Dio e non chiudendoci in noi stessi, ma aprendoci agli altri, come consolatori e consolatrici.

Consolazione: un’esperienza profondamente personale, ma non individuale; come ogni autentica realtà evangelica ci cambia, ci umanizza e ci invia ai fratelli e sorelle, perché anche loro siano “contagiati” dalla stessa consolazione.

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