La trasfigurazione, luce che tutto illumina. Commento al Vangelo della domenica

“Gesù non è stato l’unico crocifisso della storia. Tutti i crocifissi hanno bisogno, come lui, che il loro volto e il loro dolore siano trasfigurati. Particolarmente in questi giorni in cui soffiano venti di guerra e di violenza intollerabili”. Commento al Vangelo di domenica 13 marzo a cura di sr. Maria Rosa Venturelli*

Dal Vangelo secondo Luca 9, 28-36

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme.
Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui.
Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù:
«Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli non sapeva quello che diceva.
Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva:
«Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!».
Appena la voce cessò, restò Gesù solo.
Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.

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Salì su di un monte a pregare

Di quale monte qui parla qui? La tradizione in qualche modo ha cercato di individuarlo: chi dice sia il monte Ermon, alto 2800 mt, improbabile per la sua altezza eccessiva, o più semplicemente il Tabor, 590 mt. Tuttavia, nessuno degli evangelisti riporta il nome di tale monte, né fornisce indicazioni per poterlo individuare. In realtà esso è un monte diciamo “teologico”, che richiama appunto realtà teologiche.
Nell’antichità il monte era inteso come il luogo dell’abitazione della divinità. Salire sul monte voleva dire entrare in una dimensione divina. Infatti, Gesù vi sale “per pregare”, quasi a dire che la preghiera che ti eleva e ti fa entrare in questa dimensione divina.

Gesù viene investito dallo splendore di Dio

Mentre pregava, il volto di Gesù cambiò d’aspetto. Notiamo come Gesù non sale sul monte per trasfigurarsi ma per pregare, ed è proprio durante la preghiera, cioè nel suo intimo rapporto con il Padre, che egli viene assorbito completamente. Lo splendore del volto e delle vesti dicono la sua partecipazione alla vita di Dio, sottolineando, da un lato, la sua natura divina – infatti le vesti dicono la condizione della persona – dall’altro, preannunciando il suo futuro stato di uomo-Dio Risorto.

Facciamo tre tende

Il nostro testo dice che Pietro non sapeva quello che diceva. In un certo senso con questo suo intervento Pietro vuole rendere stabile, anche a livello storico, quella gloria divina che tutti in Israele attendevano nel Messia tanto sognato e atteso. Ora, Gesù è colto nella sua gloria, e Pietro lo vuole fissare qui per tutti. Cioè Pietro vuole dire che ha capito che Gesù è il Messia, atteso da tutti, di cui Mosè e i Profeti avevano parlato, pertanto, dice: mostrati tale anche agli altri, cioè mostra a tutti la tua gloria.

Torna qui l’eco delle tentazioni: la lotta di un Dio che vuole vivere la povertà della condizione umana fino in fondo, rinunciando alla sua gloria (Fil. 2,6-11), poiché soltanto in questo modo, assorbendo in sé interamente la natura umana e vivendola fino in fondo, riuscirà anche riscattarla pienamente nella risurrezione.

Il termine “tenda”, poi, richiama la “Tenda dell’Arca dell’Alleanza”, che fungeva da tempio durante il cammino di Israele nel deserto e indicava la presenza di Dio in mezzo al suo popolo. Essa, dunque, esprimeva una sorta di luogo fisico in cui Dio si rendeva presente. È proprio questo che Pietro chiede a Gesù: di rendere fisicamente presente la gloria di Dio, così tutti avrebbero creduto. Si sente qui anche l’eco della sfida lanciata a Gesù dai crocifissori: “Ha salvato gli altri, salvi sé stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto” (Lc 23,35). Ma il vecchio Israele non comprende, Pietro non sapeva quello che diceva. Ragioniamo troppo in termini umani, così che il piano di Dio rimane nascosto e irraggiungibile.

Dalla nube uscì una voce

La voce che esce dalla nube richiama quell’altra voce che scende dal cielo in occasione del battesimo di Gesù (Lc 3,21-22). Là la voce era rivolta a Gesù, quasi a fargli prendere coscienza della sua esclusiva figliolanza divina; qui, invece, è rivolta ai tre discepoli: “Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo“.

Quest’ultima parola “ascoltatelo”, richiama il testo di Deuteronomio 18,15: “Il Signore tuo Dio susciterà per te, in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a te; a lui darete ascolto”.
Gesù, dunque, viene assimilato a questo “profeta, cioè pari a Mosè, che dialoga con Gesù. Lui dirà: “chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio” (Gv 3,18).

Appena la voce cessò Gesù fu trovato solo

La voce risuonata dal cielo scompare e con lei la visione celeste. Ciò che rimane è Gesù, il frutto di questa voce. Gesù, qui, è associato alla voce celeste, anzi, è lui la voce del Padre venuta dal cielo; lui il Verbo eterno del Padre in cui questa voce continua a risuonare.
Tutto ciò che è rimasto della grandiosa visione è un Gesù sotto spoglie umane in cui, però, continua a risuonare questa voce. Tanto deve bastare ai discepoli e a tutti i credenti di tutti i tempi e luoghi.

Essi tacquero

Di fronte a un evento sovrannaturale, da secoli nascosto agli uomini e alle donne, ma ora reso presente e rivelato in Gesù, l’uomo non può che tacere. Sentiamo l’eco della reazione delle donne di fronte alla tomba vuota e all’annuncio dell’angelo che il Crocifisso è risorto: “Ed esse, uscite, fuggirono via dal sepolcro perché erano piene di timore e di spavento. E non dissero niente a nessuno, perché avevano paura” (Mc 16,8). Di fronte ad un Dio che parla noi non possiamo che tacere. Il silenzio è la parola del mistero.

A noi cristiani oggi

Ci viene dato un messaggio duro e difficile. Credere nell’Uomo Crocifisso che poi risorge nello stupore e nello splendore divino. E sappiamo che Gesù non è stato l’unico crocifisso della storia, che la sua non è stata l’ultima crocifissione. E che tutti i crocifissi hanno bisogno, come lui, che il loro volto e il loro dolore siano trasfigurati. Particolarmente in questi giorni in cui soffiano venti di guerra e di violenza intollerabili.

È il Signore della misericordia che salva tutti e dà un senso salvifico ad ogni nostro impegno. Annunciare a tutti i crocifissi che la risurrezione è prossima e a tutte le persone vulnerabili che la trasfigurazione è possibile. Questo oggi io devo fare, incontrando le persone. Cogliere la loro trasfigurazione, grazie al Dio che parla e dà vita nuova.

Buona e fruttuosa domenica in Gesù!

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Crediti foto: leolintang/Collezione Essentials/Getty Images

Sr. Maria Rosa Venturelli, missionaria comboniana

* Sr. Maria Rosa Venturelli, missionaria comboniana. Ha lavorato per 12 anni in Zaire (attuale Repubblica Democratica del Congo) e 10 anni in Polonia. Autrice di Terra e Missione

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