Il figliol prodigo. Parabola dell’amore gratuito del Padre

Una lettura della parabola del figliol prodigo che rivela il senso profondo della missione, tutto racchiuso in una frase: “Tu sei sempre con me”. Commento a cura di Sr. Antonella Simonetti, Francescana Missionaria di Assisi

Dal Vangelo secondo Luca (15,1-3.11-32)

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.
Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».
Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».
Parola del Signore.

Commento al Vangelo di domenica 11 settembre 2022

“Chi sei tu, dolcissimo Iddio mio, e chi sono io, vilissimo vermine e disutile servo tuo?”

S. Francesco


Questa pagina del Vangelo – ma come in realtà, tutto il Vangelo – risponde bene a queste due domande: “Chi sei tu, Signore, e chi sono io?

Due risposte emergono da questo testo: due grandi belle notizie.

La prima: Dio non è un giudice spietato che condanna, non è un padrone che regola i conti, ma è un Padre che sempre ama, sempre perdona e non vede l’ora di riportare a casa tutti i suoi figli, per i quali si commuove con viscere di madre.

La seconda bella notizia: noi siamo figli amati, di un amore solido, stabile, che non verrà mai meno; figli profondamente voluti e ostinatamente cercati. Nella nostra malintesa libertà, poi, diventiamo spesso pecore vaganti, mangiatori di ghiande, convinti di essere liberi, salvo, poi, scoprirci schiavi delle nostre passioni più basse; salariati inconsapevoli di essere figli; fratelli invidiosi e rancorosi… È il peccato, che ci abbruttisce e che deturpa quell’immagine di Dio che portiamo in noi, senza, però, poterla mai, in nessun modo, cancellare.

Questa bella notizia, però, ne porta con sé un’altra: al nostro peccato c’è un rimedio: l’amore gratuito, incondizionato di Dio, che nel Figlio Gesù si è donato e continua a donarsi totalmente a ciascuno di noi. Quel figlio (che siamo noi) torna a casa unicamente per convenienza, perché ha fame ed è stufo di rotolarsi insieme ai maiali e, sorprendentemente, trova un Padre che non lo aspetta con il bastone in mano, che non gli dice: “Come mai sei tornato? Rifletti un po’ sulle tue motivazioni. Guarda che io non sono mica un distributore di cibo!”. Trova un Padre che probabilmente, ogni giorno, dal giorno della sua partenza, con il cuore sanguinante, ha scrutato l’orizzonte, in attesa di quel figlio tanto amato e che temeva ormai perduto. Un Padre che, ora che quel figlio ce l’ha tra le braccia, cancella il passato e immediatamente gli offre una nuova possibilità di vita. Un Padre che anche al figlio maggiore – il quale non ha mai conosciuto veramente quel Padre e forse da sempre vive nella sua casa non da figlio, ma da servo rancoroso – rivela la sua dignità di figlio amato, attraverso quella splendida frase: “Figlio, tu sei sempre con me”. Ecco il senso della nostra vita, ecco ciò per cui siamo stati creati: stare con il Signore, vivere uniti a Lui, nella ricerca di una comunione sempre più intima e profonda, fino al giorno in cui tale comunione sarà piena e Dio sarà tutto in tutti.

Credo, allora, che questo testo, rivelandoci la nostra identità profonda, ci riveli anche il senso profondo della missione, tutto racchiuso in quella frase: “Tu sei sempre con me”. È Dio, il solo Santo, che allarga la tenda della sua santità per ospitare in essa noi peccatori. Non può esserci missione se non accogliamo tale ospitalità. Non può esserci missione se non accogliamo la missione di Dio in noi, se non accogliamo il primo missionario, il Signore Gesù, l’inviato del Padre, per lasciarci condurre alla comunione con Lui, per lasciarci evangelizzare da Lui, per lasciarci da Lui amare e introdurre in una vita bella, buona e felice, una vita con tutti i fardelli e le contraddizioni di ogni vita, ma illuminata e potentemente sostenuta dalla Sua presenza.

Solo così, in questa continua ricerca di Lui, in questo continuo lasciarci ospitare da Lui, in questo continuo lasciarci amare e plasmare da Lui; solo se sempre più faremo esperienza di quel dono che è Lui e sempre più vivremo di quello stesso dono, solo allora, lentamente, qualche tratto di Lui potrà flebilmente trasparire attraverso di noi, solo allora la misericordia ricevuta potrà essere ridonata, e, per puro dono, potrà diventare vero che… “Io sono una missione su questa terra” (E.G. 273).

Crediti foto: kieferpix/Collezione Essentials/Getty Images

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