Commento al Vangelo. Una fede donata: non servi «inutili», ma servi «senza utili»

La fede vera, quella che sa prendersi cura del fratello, riconciliandosi con lui senza misura, è la passione d’amore che fa fare tutto per l’altro, senza aspettarsi ricompense o vantaggi, come un «servo, senza utile». Commento al Vangelo di domenica 2 ottobre a cura della comunità monastica di Marango*

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 17,5-10)

In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sradicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe. Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”». Parola del Signore

Commento al Vangelo

Molto opportunamente gli apostoli chiedono a Gesù di «accrescere la loro fede». Infatti Lui aveva appena affermato la necessità, per un vero credente, di perdonare il fratello, anche sette volte al giorno (cfr. Lc 17,3-4). La comunione fraterna – fondata sull’accoglienza cordiale e gratuita dell’altro – è possibile solo grazie alla fede, cioè al far regnare la signoria di Dio nei propri rapporti, che è una signoria tutta di amore, di perdono e di riconciliazione. Credere non è vedere il cielo, ma vivere relazioni umane di disponibilità e cura.

La risposta di Gesù ai discepoli è che la fede non sta nella logica capitalistica della quantità: «Se aveste fede quanto un granello di senape», dice Gesù. La fede è una relazione con Dio fatta di abbandono pieno e fiducioso, un abbandono umile e perseverante, allo stesso tempo dolce e robusto, cioè un atteggiamento di amore che sia il fondamento della fede. Quest’ultima – per essere così potente da sradicare gli alberi e farli piantare in mare (!) – deve essere così piccola, come solo l’amore porta a farsi piccoli per gli altri: spendendosi totalmente e gratuitamente per loro.

Tale natura piccola della fede viene ribadita da Gesù con il paragone del servo, al quale non si attribuiscono meriti e onori quando compie il proprio servizio per il suo padrone. C’è un errore nella traduzione, che rischia di sviare l’interpretazione: riguarda l’aggettivo che vuole spiegare l’essere del servo. È tradotto con «inutile», ma l’aggettivo «utile» preceduto dall’alfa privativo non va reso con «inutile», ma con «senza-utile». Del resto, Gesù parla di un servo che è stato «nel campo ad arare o a pascolare il gregge», che poi, al rientro, si è messo a servire il padrone alla tavola: non è stato «inutile»! L’onnipotenza del Signore non rende gli uomini degli inutili servi. Al contrario, abbiamo il compito, piccolo come il granello di senape e grande come il piantare alberi in mare, di cambiare il mondo, ciascuno, appunto, nel proprio piccolo.

La fede vera, quella che sa prendersi cura del fratello, riconciliandosi con lui senza misura, è la passione d’amore che fa fare tutto per l’altro, senza aspettarsi ricompense o vantaggi, come un «servo, senza utile». Alla fine della giornata e della vita, ci è chiesto se «abbiamo fatto quanto dovevamo fare»: se abbiamo accolto il fratello povero o colui che è emarginato, se abbiamo lavorato per una società più umana, se abbiamo cercato il bene di tutti e non di una sola parte. È un dovere talmente “nostro” che, quando lo facciamo, nessuno ci batte le mani: come non si ringrazia la luce perché illumina o l’acqua perché bagna, sta nel loro essere. Dà prospettiva e fiducia pensare ad un uomo fatto da Dio perché, con la grazia divina, renda questo mondo più umano, con il suo servizio, ad esercizio di una fede donata proprio perché ciascuno, in Gesù Cristo, metta il suo mattoncino ad edificare il Regno d’amore. Con la gratuità dei servi, per essere davvero liberi nell’amore.

* Don Alberto Vianello, monaco della Comunità di Marango – Diocesi di Venezia

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