Lo chiameranno Emmanuele, “Dio con noi”. Commento al Vangelo della IV domenica di Avvento

In Maria, attraverso il suo sì, Gesù è generato come Dio con noi. Commento al Vangelo della IV domenica di Avvento a cura di P. Fabrizio Tosolini*, missionario Saveriano.

Dal Vangelo secondo Matteo

Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.
Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».
Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa “Dio con noi”.
Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.

Emmanuele. Dio è con noi: Commento al Vangelo

Il racconto Matteano degli eventi che precedono la nascita di Gesù è ricco di molti livelli di significato. Dopo la genealogia, già in sé stessa un manifesto della sua identità, Matteo narra del suo concepimento, e della fede eroica di Maria e di Giuseppe, vera culla spirituale che lo accoglie come Figlio di Dio.

Occorre partire dalle quattro figure femminili della genealogia: Tamar, Raab, Rut, la moglie di Uria (Matteo tace il suo nome, Betsabea). Comunemente si dice che sono straniere, ma questo non vale per Betsabea, almeno, non è certo. Ciò che accomuna le quattro donne è il fatto che rischiano la vita perché il piano di Dio si compia. Tamar rischia di essere messa al rogo; Raab rischia la morte nascondendo gli esploratori mandati da Giosuè; Rut accetta di diventare straniera in mezzo ad Israele, e tutti i rischi connessi con il fatto di essere vedova e senza alcuna protezione, insieme alla suocera; Betsabea rischia la vita quando chiede a Davide di tener fede alla sua promessa e di scegliere Salomone come erede al trono.

Queste donne precedono e preparano il lettore a comprendere quanto avviene a Maria. Trovandosi incinta dopo la celebrazione del fidanzamento, lei appare come una adultera, passibile di lapidazione. Eppure, crede al miracolo operato in lei dallo Spirito Santo, si affida a Giuseppe, che può tenerla o ripudiarla.

Da parte sua Giuseppe è “uomo giusto”. Questo non significa semplicemente osservante della Legge. Se fosse così, avrebbe ripudiato Maria, pubblicamente, senza pensarci due volte. Invece, Giuseppe è giusto nel senso classico dell’Antico Testamento: una persona che cerca di capire il disegno di Dio ed è pronta a seguirlo, a fare le scelte corrispondenti a quanto Dio rivela. E Dio è sempre nuovo. Per questo Giuseppe crede a Maria – questo significa anche che Maria gli ha detto quanto è avvenuto in lei, e Giuseppe l’ha ascoltata, in una comunione altissima di fiducia reciproca. Il problema di Giuseppe è che adesso Maria non è più sua e lui non può tenere la donna d’altri. Da una parte le crede, sa che è innocente; dall’altra non riesce a vedere quale possa essere la sua posizione in quanto sta avvenendo. Un dilemma da cui lo toglie l’angelo, confermando quanto lui ha sentito da Maria, e spiegandogli quale deve essere la sua parte: “Tu lo chiamerai Gesù”.

Qui comincia la parte diciamo curiosa del racconto. Chi darà il nome a questo bambino? Isaia aveva detto che era la madre. Storicamente, il figlio che nasce ad Acaz è Ezechia, la madre si chiama Abì, figlia di Zaccaria (2Re 18,2). Conformemente alla tradizione, era la madre a dare il nome ai propri figli, anche se poi il padre poteva cambiare la scelta (si veda Rachele a proposito di Beniamino). … E qui tocca a Giuseppe riconoscere il bambino come suo, dandogli il nome, nome che indica la missione di Gesù sulla terra: salvare il popolo dai peccati, riportando la vittoria su Satana. Il problema di Giuseppe ha trovato risposta, anche se questo impegnerà Giuseppe per tutta la vita al servizio del mistero che avvolge Gesù e sua madre, la sua sposa.

A questo punto però l’evangelista interviene collegando il fatto narrato con la profezia. Secondo Matteo, quanto Isaia aveva detto a suo tempo non si riferiva semplicemente al miracolo della nascita e sopravvivenza di Ezechia mentre Gerusalemme era assediata, segno che Dio era con il popolo e lo salvava. Il vero oggetto della profezia, della parola di Dio che rimane in eterno, è la nascita di Gesù. Chi gli darà il nome escatologico, il nome che indica la presenza di Dio tra gli uomini, come e di più che nel Paradiso terrestre? Purtroppo la traduzione italiana verte al passivo, e rende in modo impersonale il verbo, che in greco è all’attivo e nella terza persona plurale: “lo chiameranno Emmanuele”.

Chi sono questi tanti, in qualche modo genitori di Gesù? Questa frase è il programma di tutto il Vangelo. Chiameranno Gesù Emmanuele tanti che lo ascolteranno, che saranno sanati da lui, che lo seguiranno. Alla fine, tutti chiameranno Gesù così, perché Gesù invita tutti a scoprire quanto è già la verità del cosmo: “io sono con voi tutti i giorni, fino alla consumazione del tempo”. L’ultima parola del Vangelo, la parola che rimane in eterno.

Giuseppe è come il primo sgorgare di un fiume che di secolo in secolo, di terra in terra, arriva ai confini del mondo: un fiume di persone che credono, che rischiano, che si parlano, che mostrano, proclamano, sperimentano la presenza di Dio in Gesù Signore dell’universo.
In realtà però Giuseppe non è il primo. In Maria, attraverso il suo sì, Gesù è generato come Dio con noi. La seconda ricorrenza del tema nel Vangelo di Matteo (Mt 18,20) sembra indicare proprio questo. Se la comunità credente nasce dalla presenza di Gesù, è anche vero che Gesù nasce e rinasce nella comunità credente: “Dove due o più sono uniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”. In mezzo a noi come un re in mezzo al suo popolo, o come un pastore in mezzo al suo gregge.

Da questa Presenza nasce la grazia della missione (“abbiamo ricevuto la grazia di essere apostoli, per suscitare l’obbedienza della fede in tutte le genti, a gloria del suo nome”): dalla volontà di Cristo che tutti lo scoprano come Dio con noi, dalla possibilità che ci viene offerta di essere come Giuseppe obbedienti nella fede, come Maria sue madri, generando in qualche modo, scoprendo e mettendo in luce la Sua Presenza tra noi e in noi, in tutti, anche in quelli che non lo sanno ancora.

* Fabrizio Tosolini (1956). Missionario Saveriano ha ottenuto il master al Pontificio Istituto Biblico e il Dottorato a Taipei. Attualmente è professore straordinario nella Facoltà Teologica San Roberto Bellarmino a Taipei (Taiwan).

Sostieni TerraeMissione.it:
Per dare voce alle periferie abbiamo bisogno di te!

Di notizie ce ne sono tante. Spesso quelle che più ci stanno a cuore non riescono a trovare spazio sulle prime pagine dei giornali. Sostenere terraemissione.it significa permetterci di continuare il nostro impegno per un’informazione libera e indipendente, al fianco degli ultimi e al servizio del Vangelo.

SOSTIENICI
Vuoi tenerti aggiornato sulle ultime notizie?
Iscriviti alla Newsletter di Terra e Missione

Lascia un commento