Via Crucis meditata sui testi dei Missionari martiri, come Ezechiele Ramin – Podcast

Il 24 marzo, nel giorno dell’uccisione di monsignor Oscar Romero, avvenuta nel 1980, si celebrerà in tutta la Chiesa italiana la 31esima edizione della Giornata dei missionari martiri. Quest’anno lo slogan scelto da Missio Giovani è “Di me sarete testimoni (At 1,8)” e tra gli strumenti di animazione proposti per la giornata c’è la Via Crucis, da vivere durante la Quaresima, in cui tra i testimoni, nella decima stazione è stato scelto il missionario comboniano Ezechiele Ramin, ucciso 37 anni fa in Brasile per aver difeso i diritti dei contadini, dei poveri e degli indios. Lo ricordiamo attraverso le parole del fratello Antonio Ramin.

Intervista a cura di Anna Moccia

R. – A distanza di tempo, sempre di più, secondo me, si stagliano le caratteristiche di Lele. Anzitutto, si può dire che lui era persona che ascoltava la Parola di Dio e ascoltava i lamenti del suo popolo. Amava Dio sopra ogni cosa e conseguentemente amava il prossimo perché nel prossimo vedeva il volto di Gesù. Da questo, tutta la sua vicenda si è svolta in breve tempo, perché soltanto 13 mesi è rimasto in terra di missione, a Cacoal, questa parrocchia di 18.000 chilometri quadrati nello Stato della Rondonia, in Brasile. Ezechiele si è trovato inserito in una Chiesa dove l’episcopato latino-brasiliano aveva riflettuto e aveva deciso come linea pastorale l’opzione per i poveri. E quei poveri, quei contadini, non solo gli ascoltava, ma anche li educava a rispettare gli indios. La vicenda della sua uccisione è nota: era andato, ha risposto a un appello di familiari di contadini, che avevano occupato dei terreni pubblici. Quando è andato lì, il fazendeiro confinante, che reclamava la proprietà senza nessun diritto giuridico, aveva la sua squadra, i quali, dopo che Ezechiele è andato dai contadini ed ha detto di sgomberare l’area perché la vita viene prima di tutto perché c’è minaccia di morte, questi ultimi lo hanno ascoltato però lui nel ritorno è stato crivellato di colpi. Ezechiele, che poteva benissimo esimersi di andare in quel posto lontanissimo, a 200 chilometri dalla parrocchia, ha ritenuto opportuno andare lì. Perché? Perché la vita umana viene prima di tutto.

Il compito del missionario è quello di intrecciare la propria vita con Cristo e soprattutto con i popoli, le persone, che si incontrano nel proprio ministero. Padre Ezechiele, con la sua vita e la sua morte ha testimoniato il suo amore per il Vangelo, la Chiesa, la giustizia e i poveri. Allora, che significato ha per lei questa giornata del 24 marzo e anche il fatto che padre Ezechiele sia stato scelto come uno dei testimoni della Via Crucis?

Via Crucis Ezechiele Ramin

R. – Ha un grande significato perché una Chiesa che dimentica i suoi martiri, coloro che hanno donato la vita, non ha diritto di esistere e non si può assolutamente sviluppare. Ma il momento della memoria, questo momento annuale della memoria, ci apre una prospettiva mondiale, perché vediamo che ogni anno, in tutte le parti del mondo continuano ad esserci dei caduti proprio per il Vangelo. Quindi dobbiamo sempre tenere fissa questa data qua. A me piace tantissimo perché vengono fuori sempre nuove storie, nuove testimonianze. Questa è la fantasia dello Spirito Santo, che si evidenzia con l’uccisione e le morti di tanti suoi testimoni.

Padre Ezechiele scriveva: “Ho la passione di chi segue un sogno” e il sogno della missione è un po’ l’eredità che questo missionario ha lasciato a noi, ai padri e ai fratelli comboniani. Dopo 37 anni dalla sua morte, che cosa dice, secondo lei, ai giovani missionari e ai consacrati di oggi in generale?

R. – Umanamente, rimango sempre colpito quando mi si comunica che ragazzi o ragazze hanno fatto una scelta religiosa perché hanno conosciuto la storia di Ezechiele. Significa che questa sua testimonianza apre squarci di riflessioni enormi nei confronti di queste persone. E non sono poche. Allora, quando oggi negli anni 2023, dove la società ti offre tutto e questi giovani che fanno una scelta controcorrente, proprio partendo dagli ideali di Ezechiele e leggendo la sua traiettoria umana ma anche spirituale, e ne fanno una scelta di vita religiosa significa che la semente è stata seminata bene. Tenendo presente però anche quello che diceva mia mamma. Parlo a livello personale. C’era la prima linea, occupata da Ezechiele missionario, che svolgeva la sua attività e il suo impegno pastorale, però in famiglia, soprattutto la mamma, era un continuo una retroguardia impegnata quotidianamente nella preghiera perché potesse stare in piedi, questo figlio lontano, e potesse essere fedele alla vocazione che aveva scelto. Infatti diceva: “un sacco vuoto non può stare in piedi”. E in questo paradigma c’è un passaggio di una lettera molto bella, umanamente toccante, quando scriveva: “Quando entro nella foresta, mi dimentico improvvisamente di tutta la teologia che mi hanno insegnato negli anni di formazione. Sulle labbra spunta soltanto l’Ave Maria che ho appreso sulle ginocchia della mamma”.

Scarica il testo della Via Crucis per la Quaresima 2023

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