Cosa sta succedendo in Sudan: l’analisi di padre Giulio Albanese

Il missionario Albanese racconta la difficile situazione in Sudan, chiedendo di tenere alta l’attenzione “per evitare che questa si trasformi in una delle tante guerre finite dimenticatoio”.

di Anna Moccia

«La situazione in Sudan è davvero grave, anche perché alla prova dei fatti si tratta di un vero e proprio regolamento dei conti». Così padre Giulio Albanese, responsabile della comunicazione e della missione ad gentes della Diocesi di Roma, ha commentato la situazione in Sudan, dove due eserciti si stanno dando battaglia per il potere. 

«Da una parte c’è il presidente del Consiglio supremo di transizione, il generale Al-Burhan – spiega Albanese – e dall’altra c’è il suo vice Hemeti, che peraltro era alla guida dei miliziani “Janjaweed”. Sappiamo che l’origine di questo contenzioso è legata al fatto che, secondo quelli che erano gli accordi per portare finalmente il Paese alla democrazia (e quindi garantire la formazione di un governo civile), era necessario che le milizie fossero assorbite all’interno delle forze armate ed Hemeti non ne ha voluto sapere».

Negli ultimi giorni la situazione è precipitata drasticamente. Prosegue il conflitto, soprattutto attorno alla capitale del Paese africano, tanto che molti cittadini stranieri hanno dovuto abbandonare il Paese con voli d’emergenza organizzati dai Governi. Peraltro, almeno 20.000 rifugiati sudanesi sono fuggiti in Ciad, un Paese con risorse limitate che ospitava già 600.000 rifugiati. Lo ha riferito l’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), ricordando anche che sono oltre 800.000 i rifugiati sud sudanesi in Sudan, un quarto dei quali si trova a Khartoum ed è direttamente colpito dai combattimenti.

«Non sappiamo quale potrà essere l’esito di alcuni timide iniziative negoziali – continua il missionario – e la verità è che il cessate il fuoco per ora sembra essere un miraggio. Ciò che davvero preoccupa è che, con l’evacuazione degli stranieri presenti a Khartoum, il rischio quasi scontato è che calerà anche l’attenzione dal punto di vista mediatico e quindi questa sarà una delle tante guerre destinate a cadere nel dimenticatoio».

Crediti foto: Rifugiati sudanesi si riparano sotto un albero in un villaggio nel vicino Ciad a 5 km dal confine. © UNHCR/Aristophane Ngargoune

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