Gesù «Buon Pastore». Commento al Vangelo

Gesù buon pastore: in questa immagine si rivela il coraggio e la passione d’amore del Signore che dà la vita gratuitamente per noi e non si stanca di venirci a recuperare lì dove siamo. Meditazione sul Vangelo di domenica 30 aprile a cura di p. Matteo Suffritti SJ

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 10,1-10)

In quel tempo, Gesù disse: «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore.
Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo.
Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».

Il Buon Pastore

In questa quarta domenica del tempo di Pasqua la Chiesa ci invita a contemplare il mistero della risurrezione a partire dall’immagine del bel pastore di cui ci parla il capitolo 10 del Vangelo di Giovanni. Gesù buon pastore: un’immagine che probabilmente ci trasmette subito sensazioni calde, di intimità, di pace, di gioia. Sensazioni consolanti, pienamente pasquali.

Ma dietro questa prima impressione serena, in questa immagine si rivela il coraggio e la passione d’amore del Signore che dà la vita gratuitamente per noi e non si stanca di venirci a recuperare lì dove siamo.

Proviamo ad entrare più profondamente in questo testo, magari riprendendo la nostra bibbia e prendendoci il tempo di collocarci nella situazione in cui l’evangelista presenta questo discorso. Ogni anno in questa quarta domenica di Pasqua leggiamo un passaggio diverso del capitolo 10 del Vangelo di Giovanni (siamo nell’anno A con i vv. 1-10, nell’anno B si leggono i vv. 11-18 e nell’anno C i vv. 27-30).

A ben guardare, il taglio proposto dalla liturgia per questa domenica si ferma proprio sulla soglia del versetto 11, quello in cui Gesù dichiarerà «io sono il bel/buon pastore» (nell’originale greco troviamo l’aggettivo “καλός” che generalmente traduciamo con “bello”, più che buono). Il brano che meditiamo oggi è come la corsa in preparazione per il salto coraggioso che Gesù fa con questa affermazione. Infatti, tra i diversi “io sono” che costellano il Vangelo di Giovanni, questo è un passaggio per nulla scontato: «il mio pastore» canta il popolo dell’alleanza nel Salmo 22/23 è il Signore Dio (proprio יהוה, Dio nella santità del suo nome, è “pastore per me” in questa preghiera della bibbia ebraica). Gesù stesso sembra avere qualche reticenza ad esprimere subito questa parola così forte “io sono il pastore”, parola così evidentemente provocatoria, in cui “si fa Dio” (cf. Gv 10,33). Gesù si sente invitato a parlare più chiaramente visto che i suoi interlocutori proprio non sembrano capirlo.

Forse a noi può suonare scontato sentire e riconoscere Gesù come il buon pastore, ma non così per i farisei e i Giudei con cui Gesù sta discutendo. È blasfemia grave “prendere il posto di Dio” con questa immagine così potente! Infatti, quelli che lo ascoltano sono molto irritati, alcuni si scandalizzano prendendo Gesù per un matto o per un indemoniato (cf. v. 20) e visto che Gesù insiste (cf. v. 27-29), passando dalle parole ai fatti, alcuni si mettono a cercare pietre per lapidarlo (v. 31).

Ma perché Gesù utilizza questa immagine? In che situazione ci troviamo? Gesù introduce l’immagine del buon pastore per aiutare i suoi interlocutori, ancora molto confusi per il fatto della guarigione del cieco nato, a fare un passo verso la luce (cf. Gv 9, testo che abbiamo incontrato poco più di un mese fa nella domenica della quarta settimana di Quaresima).

Il cieco nato, che ha seguito la voce di Gesù, ha trovato la vista ed ha riconosciuto in Gesù il Signore (Gv 9,38). “Gli esperti dell’alleanza”, che pensano di avere una vista buona, si ritrovano a brancolare nel buio perché Gesù, le sue parole e le sue azioni fanno saltare tutti i loro schemi. E sfidano Gesù: «Siamo ciechi anche noi?» (Gv 9,40).

Se la vista non funzionasse bene il Signore invita a concentrarti sull’udito. Se avessi troppe resistenze a vedere i segni che accompagnano la logica, la potenza, la presenza dell’amore nella tua vita, allora prova ad essere più semplice, prova ad ascoltare con più consapevolezza, prova a stare attento dove vieni chiamato per nome con amore. Prova semplicemente a sentire e gustare la differenza delle voci, onestamente, coraggiosamente, pazientemente. Non è forse vero che dove c’è l’amore lì c’è Dio? Gesù sa che il nostro cuore è fatto per riconoscere l’amore vero, la voce di colui che rimane fedele anche se tu ti trovassi perduto.

Non è qualcosa che è successo solo al cieco nato, è qualcosa che il Signore di Pasqua vive con i suoi amici che viene a visitare nella pace. È esattamente quello che succede a Maria Maddalena nell’orto della resurrezione. Quello che Maria vede non le basta per credere [tra parentesi, Maria vede degli angeli e non batte ciglio… (cf. Gv 20,12). Non è forse vero talvolta anche per noi? Ignorare, non prendere sul serio i messaggeri, sempre discreti, di vere, belle notizie?].

Quello che Maria Maddalena percepisce con la vista non le basta per mettere minimamente in discussione la comprensione delle cose che lei ha raggiunto: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto […] Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo» (Gv 20,14.15). Gesù, semplicemente, la chiama per nome. Questo sentirsi chiamata per nome basterà a Maria per riconoscersi fuori dal film delle sue certezze e delle sue paure, poter rispondere all’amore con il suo amore. Sentendo la voce del buon pastore Maria può entrare una volta per sempre attraverso la porta della risurrezione, diventare la prima degli apostoli, invitare altri ad entrarci perché la porta è stata aperta e ci si può passare.

Gesù risorto è il custode delle pecore che apre la porta della resurrezione e chiama per nome ciascuna delle pecore. Gesù è la porta della resurrezione, che spalanca una vita non più ostaggio della paura della morte, che spalanca la vita in abbondanza, vita da figli e da fratelli, fino in fondo.

Il nostro salvatore ci invita a contemplare la saggezza delle pecore che riconoscono la voce di chi le ama da sempre, di chi si prende cura di loro per davvero, e sanno distinguerla dalle voci di quelli che vengono per altri motivi. La sua speranza è che diventiamo sempre più pronti e consapevoli per riconoscere nelle pieghe della nostra storia il gusto e lo stile delle diverse voci che si avvicinano. È così diversa la voce del bel pastore da quella degli estranei!

Il nostro salvatore sa che siamo stati creati bene, che ci possiamo aiutare e allenare a riconoscere e seguire la voce di chi ha cura di noi, di colui che porta alla vita in abbondanza, a riconoscere e fuggire invece la presenza di chi ti fa perdere, di chi ti vende, le suggestioni che uccidono, distruggono, negano la vita e l’amore.

E se ci sbagliassimo nell’ascoltare e nel discernere le voci? Se ci perdessimo? La pecora tendenzialmente non cerca di sbagliarsi. Nel suo intimo sa che può essere piuttosto insensato, anzi, molto pericoloso, seguire apposta un ladro o un mercenario, seguire apposta una falsa pista. Ma distrarsi, trovarsi, come di colpo, in una valle oscura è possibile, può succedere. La pecora che si sa amata non si perde d’animo. Sa che il suo pastore non ha paura di entrare nella notte e nei crepacci pur di recuperarla. Magari si fermerà per non precipitare più giù. Magari farà qualche passo indietro o cercherà di capire dov’è che è iniziato l’inghippo.

E se invece si fosse dimenticata del tutto di quanto il suo pastore la ama? Se fosse tutto buio intorno? Se anche gli occhi si possono chiudere, con le sue orecchie potrà sempre sentire il pastore bello che la chiama per nome, spinto da nient’altro che dall’amore per lei, il pastore buono che non vede l’ora di riprenderla tra le braccia.
Posso gustare con calma la preghiera che facciamo in ogni eucaristia come comunità raccolta intorno al corpo del Signore risorto, comunità raccolta nell’intimità della sua preghiera di figlio amato:

Liberaci, o Signore, da tutti i mali, concedi la pace ai nostri giorni; e con l’aiuto della tua misericordia, vivremo sempre liberi dal peccato e sicuri da ogni turbamento, nell’attesa che si compia la beata speranza, e venga il nostro Salvatore Gesù Cristo. Tuo è il regno, tua la potenza e la gloria nei secoli.

Qualche domanda per la mia preghiera:

In che situazione spirituale mi trovo oggi? Vivo in una fiducia semplice e coraggiosa perché so che il Signore è il mio pastore e che, anche nelle difficoltà che sto/stiamo attraversando, si sta prendendo cura di me/noi? Mi sento preoccupato e sfiduciato perché mi sento perso, solo e dimenticato, i conti non tornano e non so come fare per risolvere i molti problemi che mi circondano?

Riesco a ricordare una situazione in cui mi stavo irrigidendo nel vedere le cose in un certo modo ma poi mi sono reso conto che non era del tutto giusto? Che guardare così la realtà non era buono né per me né per gli altri e ho sentito che potevo allargare lo sguardo? Che cos’era successo per vivere questo passaggio? Che voce avevo ascoltato più in profondità? Mi ero confrontato con qualche buon amico? In che modo il Signore mi ha aiutato a vedere le cose in modo nuovo? Quale parola e quale gesto sono stati per me “la porta” per questa nuova comprensione?

Quali sono le logiche “ladre, mercenarie, brigantesche” che mi hanno avvelenato la vita, mi hanno fatto perdere tempo e pace? Le riesco a riconoscere, a chiamarle per nome? In qualche modo mi ritrovo ad essere complice e propagatore di uno stile che distrugge? Sento mio il desiderio del Signore che nessuno si perda, che tutti possano vivere una vita piena? Chiedo al Signore luce e sapienza per essere un buon compagno di quelli che camminano accanto a me, un aiuto perché si aprano porte di vita vera nella realtà intorno a me?

Crediti foto: Therd oval/Collezione Essentials/Getty Images

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