Santissima Trinità, mistero di comunione

“Sulla terra, gli uomini sono chiamati a mettere tutto in comunione sul tavolo della stessa umanità. Questa è la pace: la convivialità delle differenze”. Con riflessioni di Don Tonino Bello, il commento al Vangelo della solennità della Santissima Trinità (Gv 3,16-18) a cura di Teresina Caffi*, missionaria Saveriana e biblista.

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 3,16-18)

In quel tempo, disse Gesù a Nicodèmo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio».

Commento al Vangelo della Santissima Trinità

Quella della Trinità è una festa antica, nata nel popolo di Dio e poi riconosciuta ed estesa a tutta la Chiesa da papa Giovanni XXII nella prima metà del XIV secolo. Essa non prolunga il tempo pasquale, chiusosi con la domenica di Pentecoste, ma è come una sintesi di quanto meditato nei tempi forti del Natale e della Pasqua: quel Dio che si è rivelato in Gesù come Padre ci ha fatto attraverso di lui il dono dello Spirito Santo, che è l’Amore personale che lo lega al Figlio e lega il Figlio a lui. Questo perché anche noi entriamo in quella comunione d’amore, cominciando fin dalla terra a riprodurla nel nostro quotidiano. È il mistero della Trinità.

Il vescovo Tonino Bello l’ha così raccontato col suo linguaggio poetico e vitale: «Il genere umano è chiamato a vivere sulla terra ciò che le tre persone divine vivono nel cielo: la convivialità delle differenze. Che significa? Nel cielo, più persone mettono così tutto in comunione sul tavolo della stessa divinità, che a loro rimane intrasferibile solo l’identikit personale di ciascuna, che è rispettivamente l’essere Padre, l’essere Figlio, l’essere Spirito Santo. Sulla terra, gli uomini sono chiamati a vivere secondo questo archetipo trinitario: a mettere, cioè, tutto in comunione sul tavolo della stessa umanità, trattenendo per sé solo ciò che fa parte del proprio identikit personale. Questa, in ultima analisi, è la pace: la convivialità delle differenze. (…) Ma c’è di più: (…) la Trinità non è solo un archetipo da riprodurre, ma è una tavola promessa alla quale un giorno avremo la sorte di sederci, all’unica condizione che anche sulla terra ci si alleni a stare insieme con gli altri attorno alla stessa mensa della vita».

Non sapremmo meglio dire la pertinenza vitale per noi di questo mistero. Così grande e così vicino da entrare come vocazione in tutte le nostre relazioni quotidiane. Fare della comunione il principio irrinunciabile, anche quando la porta dell’altro apparisse chiusa, anche quando la prudenza ce ne facesse tenere a distanza. La comunione vince quando rifiutiamo per principio ogni spazio all’odio, quando portiamo le nostre ferite come attesa di comunione e offerta sempre aperta. Quando mettiamo da parte il sogno diabolico di voler essere felici da soli e ci pensiamo come un pane offerto e ricevuto alla mensa delle differenze.

Non sappiamo spiegare come Dio sia Padre e Figlio e Spirito Santo, eppure unico Dio. Però l’esperienza della comunione ne è il frutto in noi e ci fa sentire questo mistero vicino e in qualche modo percepibile. E c’è una cosa cui non sapremmo rinunciare ormai: che Dio sia il Padre da cui tutto viene e verso cui tutto va, che Dio sia il Figlio che fa sì che il Padre sia Padre ciò totale dono di sé, che Dio sia Spirito Santo, Amore vivo e personale totalmente a servizio del Figlio e del Padre.

Senza Padre, come potremmo vivere? Senza suo Figlio Gesù, ci mancherebbe il sole. E se lo Spirito mancasse, che sarebbe questo mondo se non una fredda e mortale lotta di interessi? Con la Chiesa preghiamo: «Padre fedele e misericordioso, che ci hai rivelato il mistero della tua vita donandoci il Figlio unigenito e lo Spirito di amore, sostieni la nostra fede e ispiraci sentimenti di pace e di speranza, perché, amandoci come fratelli, rendiamo gloria al tuo santo nome».

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suor Teresina Caffi, missionaria di Maria - Saveriana

* Missionaria saveriana, Teresina Caffi è nata nel 1950 a Pradalunga (BG), entra ventunenne fra le missionarie di Maria – Saveriane, a Parma. Licenziata alla Gregoriana in teologia biblica, ha svolto la sua missione prima in Burundi e poi nella Repubblica Democratica del Congo, dove si reca sei mesi l’anno per corsi.

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