Liberi di essere profeti. Commento al Vangelo

A ognuno di noi, il Signore consegna la sua parola di verità e il suo potere di guarire il prossimo con l’amore. Siamo abbastanza liberi per far fruttificare questo dono? Meditazione sul Vangelo a cura di suor Linda Pocher Fma, docente di Teologia presso la Pontificia Facoltà Auxilium di Roma.

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 10,37-42)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: «Chi ama padre o madre più di me non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà. Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto. Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa».

XIII Domenica del Tempo Ordinario. Commento al Vangelo

Il brano di Vangelo che la liturgia ci propone per questa domenica appartiene al grande discorso missionario che, secondo Matteo, Gesù pronuncia dopo aver chiamato i dodici e averli inviati a predicare con la parola e le guarigioni che il Regno di Dio è vicino. I versetti su cui siamo chiamati a fermare la nostra attenzione costituiscono la conclusione di questo discorso, che attraversa praticamente tutto il capitolo 10.

Per comprendere le parole di Gesù e lasciarci toccare da esse, perciò, è necessario inserirle in una doppia cornice: la cornice del contesto narrativo in cui sono inserite e la cornice del contesto socio-culturale in cui sono state pronunciate.

Cominciamo dalla cornice più esterna, la seconda. Una caratteristica fondamentale della società nella quale Gesù ha vissuto e predicato, è data dalla centralità dell’appartenenza del singolo individuo al clan familiare. Al di fuori dei legami familiari che lo identificavano, infatti, un uomo – o una donna – ai tempi di Gesù praticamente non poteva esistere, in quanto la rottura della relazione con genitori, fratelli e sorelle, comportava la rinuncia totale ai beni necessari per la sussistenza, alla protezione fisica, psicologia e sociale necessaria per sopravvivere in un ambiente particolarmente segnato dalla violenza e dalla fame, e, infine, la rinuncia all’onore e dunque il disprezzo, l’esclusione, la morte sociale.

Appartenere al clan, però, non significa soltanto sicurezza, significa anche compromesso, rispetto dei ruoli e delle gerarchie, rivalità o sospetto nei confronti di altri clan. Proprio per questo, dopo la sua visita a Nazaret, Gesù constata, desolato, che nessuno può essere profeta in patria, ovvero presso il proprio clan. Il profeta, infatti, per poter parlare a nome di Dio, ha bisogno di essere libero dai compromessi, dalle convenienze e, soprattutto, dalla paura di perdere la propria vita a causa del rifiuto da parte del clan di appartenenza.

All’interno di questa cornice, vi è una cornice più interna, quella costruita dal narratore, Matteo: Gesù sta dando istruzioni ai dodici, li sta incoraggiando a non aver paura di staccarsi da ciò che dà loro sicurezza, abbracciare il rischio della solitudine, della persecuzione, della morte, per essere liberi annunciatori del Regno. Avranno in cambio la ricompensa del profeta, nel momento in cui incontreranno qualcuno capace di riconoscerli e di accoglierli come tali.

E in cosa consiste questa ricompensa? Essere riconosciuti dal Padre come figli suoi, come parte del suo clan, dove l’unica legge è quella della carità vissuta, dell’amore che fa la verità ed è nella verità, nel rispetto e nell’accoglienza misericordiosa di tutti e di ciascuno.

All’interno di queste due cornici, questa parola, che di primo acchito può sembrarci così dura, manifesta la sua dolcezza e la sua forza liberatrice, che non riguarda soltanto i dodici: la seconda lettura, infatti, richiamandoci a fare memoria del dono ricevuto nel battesimo di essere stati uniti al Cristo morto e risorto per sempre, ci ricorda la nostra dignità di re, sacerdoti e profeti. A ognuno di noi, il Signore consegna la sua parola di verità e il suo potere di guarire il prossimo con l’amore. Siamo abbastanza liberi per far fruttificare questo dono? Se non ci riconosciamo tali, oggi è il giorno buono per chieder a Dio la grazia di sciogliere i lacci che ci impediscono di volare sulle ali dello Spirito, che continuamente ci viene dato.

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