Una carezza di Dio per i vivi e per i morti

La testimonianza di Sr. Angela Cimino, una delle sorelle della comunità intercongregazionale promossa dall’Unione internazionale delle superiore generali (Uisg) a Lampedusa*, in occasione del naufragio di migranti del 10 aprile scorso. 

Ero appena tornata dalla celebrazione della santa messa, carica di serenità spirituale. In fretta, ho indossato i vestiti usuali per la missione al molo e corso immaginando la realtà di fronte cui mi sarei ritrovata. Abbiamo corso come di solito portando vestiti, tè caldo e quant’altro potesse essere di aiuto per risollevare i fratelli naufragati (e…per grazia di Dio, salvati dalla Guardia Costiera).

Arrivati al molo, percepivo una strana concitazione. Il vento soffiava terribilmente. Era molto freddo. Il mio passo era incerto e temevo che mi avrebbero chiesto di non oltrepassare la linea di confine che spetta a noi volontari. Non è stato così.

Mi avvicinavo sempre più e speditamente al punto esatto dove ferma la motovedetta della Guardia Costiera. Nessun fratello migrante sbarcava. Perché? Che strano!

Ho suggerito ai giovani del gruppo Mediterranean Hope (instancabili) di iniziare a versare il tè caldo per lasciarlo raffreddare un po’ e per assicurarci che tutti potessero berne almeno un sorso. Non scorgevamo nessuno. Il cuore ha cominciato a battere e l’ansia ci ha assalito. Abbiamo oltrepassato la nostra linea di confine non più timidamente.

Ecco! Uno scenario orribile e disumano si è presentato ai nostri occhi!

I membri dell’equipaggio della Guardia Costiera hanno cominciato faticosamente a sollevare ad uno ad uno i fratelli migranti sopravvissuti al naufragio e posizionarli sull’asfalto del molo.

Niente si muoveva di loro: ne testa, né braccia, né gambe. È iniziata così una corsa inarrestabile per recuperare coperte di qualsiasi genere. Tutti colpiti da ipotermia. Che scenario disumano!

Erano scioccati, tremanti, deliranti, ustionati. Non si è perso un secondo di tempo. C’erano vite da salvare. Alla corsa per le coperte è seguita la corsa di barelle, carrozzine e un via vai di ambulanze per trasportare i malati gravi al Poliambulatorio di Lampedusa.

Un giovane ivoriano è particolarmente grave; lo hanno rianimato per circa 40 minuti. Non ce l’ha fatta.

Completato faticosamente e tristemente il soccorso dei superstiti, un altro terribile scenario si è prospettato davanti a noi. Ho assistito attonita e senza fiato all’operazione di sollevamento e di riposizionamento dei cadaveri in sacchi neri lunghi, con cerniere di apertura per eventuali riconoscimenti da parte di parenti che, forse, viaggiavano sulla stessa barca della morte. Tra questi una bambina di 9/ 10 anni.

In un batter d’occhio le due agenzie funebri, con l’aiuto di alcuni presenti hanno cominciato l’operazione della riposizione nelle bare. Otto fratelli migranti, morti. Poi, il numero è salito a nove.

Un silenzio cupo avvolgeva il molo come non mai. Si sentivano solo il vento e il rumore delle onde sempre più alte. Non c’era tempo per pensare a sé stessi, a coprirsi, a ripararsi dal vento e dal freddo. Si correva, si guardava, si piangeva e si pregava, accarezzando tutti: vivi e morti. Si. La carezza di Dio ha raggiunto tutti. A mezzanotte abbiamo pensato di fare visita ai fratelli gravi portati al Poliambulatorio.

Ci interessiamo a loro e assicuriamo la nostra disponibilità per ogni necessità che si verrà a creare.

Si può immaginare il nostro stato d’animo! Un cuore distrutto alla vista di tanto dolore!

E come non pensare a quelle mamme (impotenti) che hanno visto cadere in mare i loro figli?

Come stare vicino a loro? Come poterle riabbracciare?

Ci siamo dati appuntamento l’indomani per riuscire a trovare insieme una risposta a questi interrogativi struggenti e nella speranza di poter accedere al centro di accoglienza per manifestare la nostra vicinanza ai fratelli soccorsi, per infondere loro calore umano.

Inutili tutti i tentativi! Inutili le lunghe attese all’esterno dei cancelli dell’hotspot! Nessuno si è degnato di interloquire con noi.

Ci resta un vuoto incolmabile nel cuore. Avremmo desiderato ancora una volta far sentire loro la carezza di Dio!

Da Lampedusa, Sr. Angela Cimino, fsscc

* La comunità intercongregazionale a Lampedusa si occupa di accogliere i migranti che raggiungono le cose europee. Dal 2015, un gruppo di suore di diverse congregazioni e paesi hanno costituito comunità intercongregazionali con l’obiettivo di costruire ponti tra i migranti e la comunità locale. Leggi di più sul Progetto Migranti in Sicilia.

Immagine di Freepik

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