2 – Flagellazione

flagellazione

Periodo italiano, 1980-83
carboncino

cartoncino 70 x 100 cm


Lo sguardo di Ezechiele verso i popoli originari aveva una dimensione teologica. In questi popoli afflitti vedeva Gesù flagellato, martoriato nel suo cammino sul Calvario. Come Gesù, e poi Daniele Comboni, prese a fare “causa comune” con gli oppressi.

«Io prendo a far causa comune con ognuno di voi, e il più felice de’ miei giorni sarà quello in cui potrò dare la vita per voi. Non ignoro punto la gravezza del peso che mi indosso come pastore (…) difendere gli oppressi senza nuocere agli oppressori, riprovare l’errore senza avversare gli erranti, gridare allo scandalo e al peccato senza lasciar di compatire i peccatori…». Daniele Comboni, Omelia, Khartoum, 11/05/1873


Lettera di padre Daniele Nardin, missionario comboniano in Perù

All’aprire la porta di Lele bisogna passare per gli ultimi, dalle periferie, dagli ultimi angoli del mondo dimenticato. Incontrare Lele è incontrare una persona senza certezze in tasca, anche se difendeva seriamente le sue convinzioni, capace di rompere le definizioni e gli assiomi per andare incontro all’altro. Incrociare Lele missionario è abbracciare la sua causa, che è il far “causa comune” di Comboni, da missionario appassionato. Sfidare e misurarsi su Lele vuol dire essere cocciuti nel bene. Capire Lele vuol dire occhi vuol dire occhi speciali e cuore impazzito a volte. Imbattersi con questo padovano è senz’altro conoscere le misure dell’amore di Dio (vedi Rom 8,39 o Ef 3,18), che è un amore senza misura.

Credo che si fosse innamorato di Daniele Comboni proprio per questo. Vedeva in lui la passione, la possibilità di amplificare e ingigantire il suo amore per gli ultimi e per l’Africa, che poi trasformò in Brasile […]

San Daniele Comboni


Qualcuno lo definiva illuso, ingenuo, sognatore: no, questo non è Lele. Sognava, certamente, ma era un sogno costruttivo, positivo, a lunga gittata. Avrebbe voluto essere allo stesso tempo in tre cose o situazioni differenti. Questo è essere ingenuo? Io preferisco sicuramente chiamarlo genio o poeta. Credo che la vita per Lele era sempre corta, la giornata di 24 ore insufficiente, le cose da fare e da sognare da dentro infinite.
Ed esagerato era il suo sogno. Ma lui, la figura e il suo corpo, il suo cuore e il suo animo c’erano. Difatti, quel giorno lui c’era, era presente dietro un sogno che aveva preso corpo in lui. Su quella strada del Brasile, su quella traiettorie delle pallottole c’era, e ben presente. Esageratamente presente. Perché l’amore era esagerato da sempre dentro il suo cuore. E anche la sua morte era esagerata.

Sai quante pallottole usarono per crivellarlo di colpi, lui e la sua macchina? Esageratamente. Ma non si può fermare il vento, si può ostacolare, ma non fermare. Ha vinto ancora Lele, perché quelle pallottole che dovevano fermarlo lo anno invece lanciato ancora più avanti. Il suo sangue ha dato vita a mille fiori che ormai han dato semi in abbondanza.

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