7 – Morti ma ecco che viviamo

Morti ma che viviamo

Brasile, 1985
Materiale, dimensioni e tecnica sconosciuta


Padre Lele continua la descrizione della realtà nella Cacoal di allora: il morto arriva in città come può, i contadini sono poveri anche nella morte, vivere in foresta è dura, non una bara ma un lenzuolo che ci appare come un sudario.

L’esperienza delle uccisioni e della violenza sui campesinos segna profondamente il vissuto della comunità cristiana e di p. Ezechiele, che lo vive alla luce del Vangelo.
«Era Venerdi Santo e dovevo preparare un cartelone di Pasqua per metterlo vicino al crucifisso della chiesa di Cacoale, apeso sul muro. Li volevo mettere un segno di Rissurezione. Ho quiesto a Lele di farme un carteloni con Gesù Risorto… e, mi porta questo, quando lo ho visto, lo deto “proprio questo? Sembra che portono un morto”…lui mi ha risposto:”adesso ti faccio un messaggio” e, ha scrito con parole bene grande: “morti ma ecco che viviamo! Alleluia!» Sr Lourdes Ramos SMC, Palermo 2010.


Testimonianza scritta di suor Lourdes Ramos

Missionaria comboniana portoghese, Palermo 2010

(..) Mi ricordo molto bene di questo disigno in particolare, perché mi dice tanto!
Spero di farmi capire in italiano: Prima di tutto il disegno Lele lo ha fatto ricordando i primi tempi a Cacoal, quando ancora non esistevano le strade, soltanto sentieri. Questi sentieri alle volte erano lontani della città di Cacoal, da 40 a 50 Km. Quando le persone si ammalavano erano trasportate nelle amache (rede in brasillano) per due uomini, fino arrivare al dispensario o piccolo ospedale in Cacoal. Tanti morivano per le strade…Cosi raccontava il popolo. Ed Ezechiele ha voluto ricreare la sofferenza dei primi tempi di Cacoale, quando sono arrivati i primi coloni.
Adesso ti racconto quello che si è passato con me ed Ezechiele su questo disegno. Era Venerdì Santo e dovevo preparare un cartellone di Pasqua per metterlo vicino al crucifisso della chiesa di Cacoal, appeso sul muro (ti ricordi com’è vicino al tabernacolo?). Lì volevo mettere un segno di Risurrezione.
Ho chiesto a Lele di fare un cartellone con Gesù Risorto e lui prima mi ha detto fanne tu uno, io ho risposto: no so disegnare come te… allora lui ha detto: vado a prenderne uno bello e, mi porta questo. Quando l’ho visto, ho detto: proprio questo? Sembra che portano un morto… e lui mi ha risposto: “adesso ti faccio un messaggio”. Ed ha scritto con parole bene grande: “Morti ma ecco che viviamo! Alleluia!
In portoghese era così: “Mortos mas eis que vivemos! Aleluia! Questo disegno era stato incollato sopra un altro grande cartellone di colore marrone, più o meno di 2 metri di altezza. Era davvero molto bello. Durante tutto il periodo Pasquale è rimasto appeso davanti all’altare sul muro.
Quando hanno ammazzato Padre Lele, tuo fratello e mio caro amico e fratello in Cristo e nello stesso ideale, Martina, la sacrestana della parrocchia è andata a prendere questo grande cartellone e lo hanno appeso davanti all’altare, sul muro, e davanti alla bara di Padre Lele.
Quando io sono entrata in chiesa ed ho visto proprio quello cartellone e il disegno, ho pianto; perché mi ha fatto ricordare tutto il dialogo che ho fatto con Padre Lele. Io ho pensato che quella profezia: “Morti ma ecco che viviamo…” Era la sua realtà, è stata anche per Lui…
Questo è tutto ciò che mi ricordo. Ma anche il popolo e le nostre sorelle (Rita e Elide), sono state colpite quando hanno visto il disegno che lui aveva fatto per la Pasqua di 1985. Era lo stesso per la “sua Pasqua” 24/25 Luglio 1985, cioè il suo funerale.

Sono davvero contenta che voi avete avuto questa bella iniziativa, spero che sia una bella mostra.
Mi scusa degli errori, ancora ho molta difficoltà in scrivere in italiano.


Dall’esortazione apostolica Querida Amazonia, di papa Francesco.
Ai paragrafi 15 e 16, nelle parole di indignazione per l’ingiustizia e la violenza disumanizzante che affliggono l’Amazzonia, troviamo una risonanza dei sentimenti che hanno animato padre Ezechiele Ramin.

15. Bisogna indignarsi,[10] come si indignava Mosè (cfr Es 11,8), come si indignava Gesù (cfr Mc 3,5), come Dio si indigna davanti all’ingiustizia (cfr Am 2,4-8; 5,7-12; Sal 106,40). Non è sano che ci abituiamo al male, non ci fa bene permettere che ci anestetizzino la coscienza sociale, mentre «una scia di distruzione, e perfino di morte, per tutte le nostre regioni […] mette in pericolo la vita di milioni di persone e in special modo dell’habitat dei contadini e degli indigeni».[11] Le storie di ingiustizia e di crudeltà accadute in Amazzonia anche durante il secolo scorso dovrebbero provocare un profondo rifiuto, ma nello stesso tempo dovrebbero renderci più sensibili a riconoscere forme anche attuali di sfruttamento umano, di prevaricazione e di morte.[…]

16. Questa storia di dolore e di disprezzo non si risana facilmente. E la colonizzazione non si ferma, piuttosto in alcune zone si trasforma, si maschera e si nasconde,[13] ma non perde la prepotenza contro la vita dei poveri e la fragilità dell’ambiente. I Vescovi dell’Amazzonia brasiliana hanno ricordato che «la storia dell’Amazzonia rivela che è sempre stata una minoranza che guadagnava a costo della povertà della maggioranza e della razzia senza scrupoli delle ricchezze naturali della regione, elargizione divina alle popolazioni che qui vivono da millenni e ai migranti che sono arrivati nel corso dei secoli passati».

deforestazione amazzonia

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