«Se hai fame il virus non fa paura»

Il Sudafrica rimane, assieme all’Egitto, tra i Paesi con il più alto numero di casi di Covid-19 del continente, con 5.951 contagi e 116 morti. A fine marzo è stato messo interamente in quarantena dal presidente Cyril Ramaphosa. A garantire l’ordine e l’obbedienza alle norme sono stati schierati altri 73 mila soldati che si aggiungono ai 2.500 della fase iniziale.

Padre Pablo Velasquez, missionario Scalabriniano, svolge il suo ministero sacerdotale nella comunità religiosa con sede nel sobborgo di La Rochelle, presso la parrocchia di S. Patrick. Ogni giorno, da settimane ormai, la parrocchia si ritrova con centinaia di persone in lunghe file in cerca di un pacco viveri. I benestanti hanno risorse economiche e garanzie di un lavoro che tutelano ed aiutano a rispettare le direttive restrittive di questi giorni ma per le fasce più povere, tra cui molti migranti, perdere giorni di lavoro significa ipso facto non guadagnare un rand (moneta locale).

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«Chi si mette in fila ogni mattina – ci racconta un suo confratello p. Gabriele Beltrami – sono in prevalenza di immigrati provenienti da Congo, Mozambico, Malawi e Zimbawe, persone che, essendo stranieri non ricevono gli aiuti stanziati dallo Stato, risultando di fatto come dei “dimenticati” dalle istituzioni e anche dai discorsi dei politici. Ci sono, però, anche sudafricani – e non solo di colore – che per mille e più motivi non riescono ad accedere a quanto teoricamente spetterebbe almeno a loro in quanto cittadini regolari».

Nella parrocchia di S. Patrick, che è ordinariamente un coloratissimo punto di ritrovo per i fedeli di almeno venti diverse nazionalità, l’aumento vertiginoso delle richieste di aiuto di questi giorni ha allarmato i missionari. «Si attendeva provvidenzialmente un cenno di attenzione da parte delle rappresentanze consolari – continua padre Gabriel -, ma nessuna si è fatta viva per venire incontro alla sofferenza dei propri connazionali. È difficile fare una stima di quanti siano i migranti nel paese, ma in Sudafrica si presume siano circa 3 milioni, radunati nelle grosse aree di Durban, Johannesburg e Cape Town. Per lo più vivono di lavoretti discontinui, o come guardiani, domestici, addetti alle pulizie, o giardinieri, tutti impieghi però messi “in pausa” dal virus, causando il mancato introito, soprattutto destinato a pagare l’affitto di casa».

«Padre Pablo e padre Jorge, parroco della parrocchia – sottolinea il missionario -, stanno facendo tutto quel che possono per venire incontro alle necessità di questi fratelli, anche se fino a pochi giorni fa tutto il cibo donato alle persone veniva dalle donazioni che gli stessi parrocchiani hanno raccolto prima che entrassero in vigore le misure restrittive. Se a questo si uniscono le donazioni per i poveri raccolte durante la Quaresima, ecco come si è risposto finora».

Ad incrementare le risorse per l’emergenza è intervenuta la congregazione scalabriniana attraverso la campagna “#unasolacasa”, che ha reso possibile di fatto l’acquisto di altri generi alimentari, da un lato, e la diffusione delle notizie da questo estremo Sud del mondo. «È notizia di questi giorni – afferma – che proprio i video postati giornalmente dal team comunicazione della campagna e dai missionari in loco ha risvegliato anche dei benefattori locali che si sono prestati a fornire diverse derrate di cibo per la causa».

Per quanto riguarda la paura di possibili scatti di nervosismo da parte della gente in fila per ore o di rischiare di infettarsi loro stessi ha risposto a riguardo Padre Pablo in una recente intervista a Vatican News: «La nostra paura è rimasta indietro. Impossibile chiudere le nostre porte e mandare via la gente quando sappiamo che ci sono delle famiglie, dei bambini che piangono per la fame!».

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