«Siamo sulla stessa barca». L’altra Amazzonia, dove vince la solidarietà

Sfide e speranze dalla missione Salesiana in Amazzonia. Interviste a sr. Agata Kociper e p. Francisco Alves de Lima, impegnati in difesa degli indigeni e del territorio amazzonico

di Anna Moccia

Lo Stato brasiliano dell’Amazonas ha registrato altri 628 casi di Covid-19, per un totale di 10.727 casi. Sono stati inoltre confermati altri 68 decessi per malattia, che hanno fatto salire il numero totale di decessi a 874. Ora è il quinto Stato brasiliano con il maggior numero di decessi causati dal virus. È in questo contesto che operano i missionari Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice, presenti nell’amazzonia brasiliana da oltre 100 anni.

«Lavoriamo soprattutto nel campo dell’educazione e dell’evangelizzazione», ci racconta sr. Agata Kociper, missionaria dell’Ispettoria “Santa Teresinha”. «Il nostro sguardo è rivolto ai giovani e bambini più poveri, che si trovano in situazioni di rischio. Per questo, oltre alle scuole abbiamo anche opere a difesa delle bambine e di mamme adolescenti, vittime di abusi e diversi tipi di sfruttamento, a difesa della dignità e della vita. Tra le aree in cui lavoriamo, ce n’è una molto particolare, che è la regione di Rio Negro, dove convivono popolazioni indigene di 23 etnie differenti».

Per queste comunità già vulnerabili, l’arrivo del nuovo coronavirus può avere effetti devastanti. E si teme che il contagio arrivi a colpire le tribù più remote, isolate, incontaminate. «In questo momento tutto è precario – continua sr. Agata -. Mancano le strutture ospedaliere e programmi di prevenzione per trattare con dignità gli ammalati e il personale sanitario. Ancora più preoccupante è il fatto che il virus sia arrivato anche in comuni più indigeni come São Gabriel da Cachoeira (45mila abitanti), dove sono registrati tre casi di coronavirus. São Gabriel si trova a 1000 km di distanza dalla capitale Manaus ed ha solo un ospedale militare, che purtroppo non ha gli strumenti necessari per i trattamenti più difficili».

Come se non bastasse, continuano le attività di sviluppo, per la maggior parte illegali, che entrano nei territori indigeni. «Ci sono invasioni di gruppi di guerriglieri, trafficanti di legno, minatori – sottolinea la missionaria -. Lo scorso 9 aprile la tribù amazzonica di Yanomami ha registrato la prima vittima da coronavirus, un ragazzo di soli 15 anni, morto a causa dei minatori illegali che entrano ed escono dal territorio senza alcun controllo».

Per fronteggiare questo delicato momento la famiglia Salesiana, insieme alla Chiesa locale, sta lavorando anche alla produzione di equipaggiamenti di protezione, mascherine e disinfettanti. E ancora raccoglie alimenti per i più bisognosi ed è impegnata nei campi dell’animazione spirituale e sociale. «Non possiamo uscire da casa ma cerchiamo di arrivare ugualmente ai cuori – conclude sr. Agata -, vegliando su di noi e sulla nostra gente».

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La comunità di Barcelos lavora per raccogliere alimenti per i bisognosi

Padre Francisco Alves de Lima vive a Santa Isabel di Rio Negro, città con una forte presenza indigena. Dirige l’Opera salesiana e la sua parrocchia è composta da otto comunità di circa 7.000 abitanti nel centro urbano e da 26 piccole comunità di “ribeirinhos”, che vivono lungo i fiumi. «Fin dall’inizio – ci racconta – le autorità municipali e sanitarie hanno preso misure per evitare il contagio. È proibito il trasporto di passeggeri e la gente non esce dalla città, se non per andare a lavoro. Le celebrazioni religiose sono state sospese ma abbiamo preparato dei materiali da distribuire alle famiglie. Così come abbiamo parlato loro della necessità di seguire le misure indicate dalle autorità. C’è da dire che gli Yanomami, che spesso venivano qui per motivi di studio, hanno deciso saggiamente di addentrarsi di più nella foresta e si sono isolati. Il virus fa sperimentare con mano e ci ricorda costantemente che “tutto è connesso”, come si legge nell’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco. Per questo speriamo che da questa esperienza nasca un’umanità più solidale e più consapevole che siamo sulla stessa barca e che c’è bisogno di aver cura di tutti, soprattutto dei più piccoli e dei più fragili».

L’audio dell’intervista a p. Francisco

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