La visita di Papa Francesco nella Repubblica Democratica del Congo, dal 31 gennaio al 3 febbraio scorso, sta ancora rilasciando i suoi cerchi d’onda e il popolo congolese spera che non si spengano: all’interno del Paese come nella comunità internazionale. Editoriale di Teresina Caffi*, missionaria Saveriana nella Repubblica Democratica del Congo.
Il Papa è stato accolto con grande gioia. Una folla enorme ha popolato le strade, lo stadio e tutti i luoghi dove egli è passato nel suo soggiorno nel paese. A motivo della guerra in corso nel Nord-Kivu, all’est, non è andato a Goma com’era previsto nel primo progetto di viaggio a luglio 2022, poi rinviato per le sue condizioni fisiche: il Papa ha però accolto e ascoltato la voce di alcune vittime delle violenze che là si compiono e ha parlato con autorità e vescovi rappresentanti l’intero Paese.
Ad accogliere e ascoltare il Papa c’erano non solo cattolici, ma anche persone di ogni fede. In lui il popolo congolese vede l’ultima spiaggia, la spiaggia sicura dopo aver constatato l’inaffidabilità della comunità internazionale. Nel mondo dei grandi della terra infatti l’opportunismo politico, l’interesse economico – particolarmente rivolto ai minerali preziosi di cui abbonda il paese – hanno la meglio sulla verità e su una vera solidarietà.
Il Papa invece – i congolesi ne sono certi – non parlava per interessi di parte, ma da vero pastore, per amore di questo popolo maltrattato e umiliato. La sua presenza, anche nella sua debolezza – i congolesi l’hanno visto commossi spostarsi su una carrozzella – è stata un segno d’amore e di speranza. Le verità sulla loro situazione il Papa le ha dette con parole alte e chiare, per chi vuol sentire.
«Nel vostro Paese, che è come un continente nel grande Continente africano, sembra che la terra intera respiri. Ma se la geografia di questo polmone verde è tanto ricca e variegata, la storia non è stata altrettanto generosa: tormentata dalla guerra, la Repubblica Democratica del Congo continua a patire entro i suoi confini conflitti e migrazioni forzate, e a soffrire terribili forme di sfruttamento, indegne dell’uomo e del creato», ha detto al suo arrivo. Voi Congolesi, ha aggiunto, «siete infinitamente più preziosi di ogni bene che sorge da questo suolo fecondo!».
È tragico – ha proseguito – che questi luoghi, e più in generale il Continente africano, soffrano ancora varie forme di sfruttamento. (…) Dopo quello politico, si è scatenato infatti un “colonialismo economico”, altrettanto schiavizzante».
Nei diversi incontri il Papa ha compatito, incoraggiato, annunciato la dignità della persona e dei popoli, denunciato il male e indicato a ciascuno una via di conversione. La speranza è possibile, ha ripetuto, ma passa attraverso il rinnovamento di ciascuno, un rinnovamento che parte da un profondo rapporto col Signore, che diventa capacità di prossimità vera con le persone, fino a dare la vita, come l’ha fatto l’arcivescovo di Bukavu, mons. Christophe Munzihirwa, ucciso nel 1996.
Il Papa ha lasciato una ventata di speranza, ma anche la consapevolezza di un peso di responsabilità che tocca chiunque. Che questa visita – certo per lui faticosa, benché desiderata – non passi inutilmente dipende da ciascuno di noi. Perfino da chi è lontano da questo vasto Paese: perché l’ingiustizia che genera i suoi tragici frutti dappertutto nel mondo, essa è il tassello di un sistema che emargina l’altro, rende sempre più povero il Piccolo, per mettere al centro il proprio tornaconto. La speranza c’è, ed è nelle nostre mani.
Teresina Caffi
Bukavu, Sud-Kivu, RDCongo
* Missionaria saveriana, Teresina Caffi è nata nel 1950 a Pradalunga (BG), entra ventunenne fra le missionarie di Maria – Saveriane, a Parma. Licenziata alla Gregoriana in teologia biblica, ha svolto la sua missione prima in Burundi e poi nella Repubblica Democratica del Congo, dove si reca sei mesi l’anno per corsi.