È un testo – la parabola delle dieci vergini, cinque sagge e cinque stolte (Mt 25,1-13) – che tradizionalmente viene riferito alla vita consacrata ma nell’economia del Vangelo di Matteo è rivolta a ogni credente.
Cosa spegne in noi il carisma? Cosa lo ravviva? E quale eredità vogliamo trasmettere? Nel riflettere su questi interrogativi, Sr Gabriella Patrizia Masturzo OCSO, monaca trappista di Vitorchiano, invita a vivere in pienezza la vocazione cristiana, per essere “lampada accesa” nelle proprie comunità, per la vita della Chiesa e la sua missione.
“Noi comprendiamo davvero la nostra vocazione?”. È arrivata come un’efficace provocazione la domanda che il Padre Generale Dom Bernardus Peeters ha rivolto a tutte le comunità dell’Ordine Trappista, in occasione della Festa dei Fondatori di Cîteaux, i tre frati “ribelli”, San Roberto, Sant’ Alberico e Santo Stefano Harding, ai quali dobbiamo gli inizi cistercensi. Un interrogativo che può estendersi ad ogni vocazione, in un momento in cui tutti facciamo esperienza di fragilità, sia nei numeri, sia nella capacità di risposta che segna tante crisi.
Nel testo ha posto un ulteriore interrogativo: “Perché preghiamo per le vocazioni?”, e ha proseguito con un’osservazione: “… Pregare per le vocazioni quindi, cari fratelli e sorelle, è scoprire la nostra stessa vocazione nel tessuto comunitario e farne ripetutamente esperienza”. Mi sembra che qui si arrivi al nocciolo della questione e condivido volentieri questa proposta di lavoro, perché la trovo interessante per uscire da un tratto malinconico sull’oggi, e per spronarci a scoprire quale tesoro personalmente troviamo e facciamo fruttare, oggi, ognuno, nella propria vita, nelle comunità a cui apparteniamo.
Una domanda che raggiunge tutti, missionari e claustrali, come sacerdoti e sposi, perché va al cuore della nostra personalità cristiana, che trova espressione nella forma di vita che ognuno ha incontrato nella Chiesa per vivere con il Signore e con i fratelli che Lui ci ha messo accanto. Se vogliamo, questa domanda apre uno spazio di sinodalità, cioè di ascolto e condivisione.
La tentazione di leggere situazioni difficili attraverso la lente sociologica del calo demografico, oppure vedere quanto incidano nei giovani, e in genere nella società attuale, le immagini del successo economico o professionale, o la distrazione a cui portano i social media, sembrano buoni argomenti, ma restano solo dei particolari, che bloccano piuttosto che aprire una domanda nuova sul nostro rapporto con Cristo.
Spesso siamo tentati di stare semplicemente a galla, temendo il “secolo” che ci circonda, e tentando come soluzione di rafforzare alcune strutture o forme di vita. Il rinnovamento delle comunità, delle famiglie religiose e della Chiesa stessa non può che partire da una novità della persona nel suo incontro con Cristo e nel ravvivare l’esperienza iniziale e cioè accogliere con responsabilità nuova il dono dello Spirito che gli è dato. San Paolo scrive a Timoteo: “Ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te…” (2Tm 1,6). Possiamo vedere in questo richiamo la via anche per noi, oggi. Aprendoci ad un nuovo incontro con Cristo.
Il vero ostacolo a vivere con frutto la nostra vocazione è, il più delle volte, il venir meno di quella fede che è affidarsi, lasciare le nostre teorie e ipotesi sull’esito della chiamata che il Signore ci ha fatto, e stare nei due atteggiamenti fondamentali del discepolo: l’ascolto, cioè il recepire la realtà, quello che concretamente ci domanda e ci comunica; e l’umiltà, non vivere di pretese su di noi e sugli altri a e camminare nell’humus, coi piedi per terra, costruendo giorno per giorno la nostra relazione con il Signore e con gli altri. Da un soggetto che sta bene, salvato nel vero senso della parola, può venire frutto alla comunità e quindi alla Chiesa e perché no, anche al mondo.
In comunità abbiamo aperto dei dialoghi a partire da alcune domande sulla nostra esperienza del dono della vocazione, oggi, dopo cinque, dieci, o cinquanta anni di vita monastica. Cosa lo ravviva? Cosa spegne in noi il carisma? Quale eredità vogliamo trasmettere?
Interrogarci è stata occasione per ciascuna di scoprire la via sulla quale stiamo camminando. Ed ancora più utile è stato il farlo nella compagnia di altre, attraverso uno scambio comunitario, perché ogni vocazione trova vita nella Chiesa e dà vita alla comunità in cui è inserita. È in una consapevolezza e responsabilità “ravvivate” che la preghiera per le vocazioni può farsi autentica e il nostro cuore può essere certo del dono ricevuto, attento a non smarrirlo, desideroso di condividerlo.
In seguito è stato importante per noi un incontro di formatori che si è allargato a fratelli e sorelle di altri Ordini e Congregazioni. La ricchezza o “prisma” dei carismi ci ha trovato profondamente uniti in un’amicizia in Cristo aperta ad un lavoro e ad una responsabilità comune verso il dono che il Signore ci fa per la vita della Chiesa e la sua missione.
Sr Gabriella Patrizia Masturzo OCSO, Monastero Trappiste di Vitorchiano