L’eredità di Papa Francesco? Vivere radicalmente il Vangelo

«Papa Francesco in ginocchio a baciare i piedi dei leader del Sud Sudan, implorando la pace; le lavande dei piedi nelle carceri romane; l’incontro storico ad Abu Dhabi con l’Imam di al-Azhar, Ahmad al-Tayyeb; l’inizio del Giubileo della Misericordia a Bangui, Repubblica Centrafricana. Sono immagini che ancora oggi scuotono, che non si dimenticano. Gesti che interrogano anche la nostra fede concreta». L’editoriale del frate minore Adolfo Marmorino ricorda la figura di Papa Francesco. Un omaggio al suo Pontificato, alla visione pastorale e alla profonda impronta lasciata nella storia della Chiesa, nel segno del Poverello di Assisi.

Quando ci fu la proclamazione dell’avvenuta elezione del nuovo papa, il Protodiacono Tauran lesse dal balcone la formula latina, ma un po’ per la pronuncia e un po’ per la mia commozione, non riuscii a cogliere subito quel nome. Ricordo bene quel senso di attesa sospesa, quasi irreale. Forse non era neanche un nome che ci si aspettava, almeno tra le schiere dei comuni mortali, e così ci è voluto un po’ per focalizzare e ritenere quel nuovo e insolito nome per un papa. Per la prima volta nella storia, un papa sceglie il nome di Francesco.

Passato il primo momento, alcuni si chiedevano se quel nome si riferisse a Francesco Saverio (visto che ci trovavamo di fronte a un papa gesuita, tra l’altro per la prima volta), ma fu proprio lui, dopo pochissimo tempo, a dissipare i dubbi chiarendo che quel nome si riferiva proprio al poverello di Assisi. Un chiarimento semplice ma carico di significato, che subito accese il cuore di molti.

Dalle sue prime parole, quel “buonasera” lanciato così semplicemente sulla folla e sul mondo, da quel gesto di inchinarsi chiedendo di pregare per lui… si intuiva che c’era qualcosa di nuovo. Quel momento, per quanto breve, parlava più di tanti discorsi: uno stile nuovo stava iniziando. Lo spirito del poverello tornava a soffiare, e questa volta nelle più alte sfere della Chiesa. Le aspettative erano tante: la gente, la Chiesa, gli ultimi, aspettavano qualcosa di più.

Il nome del “giullare di Dio”

Ed ecco che lo Spirito si inventa questo gesuita con il nome del giullare di Dio, venuto – come dirà lui stesso – dalla fine del mondo: sarà infatti il primo papa del continente americano. Un segno forte che parlava già di periferie, di universalità, di uno sguardo oltre i confini consueti. E poi arriva il saluto che diventerà una costante dopo l’Angelus: buona domenica e buon pranzo. E il consueto: pregate per me. Tanti i segnali di novità, che sarebbe troppo lungo stare a ripercorrere: dalla scelta di non indossare l’abito corale al momento della benedizione Urbi et Orbi, di non mettere le classiche scarpe rosse, né il crocifisso d’oro, di rientrare con gli altri cardinali dopo il Conclave, di pagare il conto dopo aver ripreso i bagagli alla casa del clero e di scegliere di rimanere a Santa Marta. Piccoli gesti, sì, ma che parlavano con una forza sorprendente: niente era casuale. Era ovvio che non era solo la costruzione di un’immagine.

Le parole e i gesti di Papa Francesco

Così, pochi mesi dopo essere stato investito di questo ministero, pubblica il suo documento programmatico: Evangelii gaudium, la gioia del Vangelo, nel quale si vede che da subito vuol mettere mano all’aratro, con i temi quali la Chiesa in uscita, i poveri, la pace.

Pochi mesi dopo ci arriva la Laudato si’, con i temi della cura della casa comune e l’ecologia integrale. Del 2020 è poi la Fratelli tutti, sulla fratellanza umana, la pace mondiale e la convivenza comune. Documenti che non si limitano a orientare la Chiesa, ma parlano a tutta l’umanità, con parole semplici e profonde.

Papa Francesco ha prodotto tanti documenti, ma si è anche messo in gioco personalmente: come non ricordare ancora quando nel 2019 si mise in ginocchio a baciare i piedi dei leader del Sud Sudan per implorare la pace, le lavande dei piedi nel carcere, l’incontro ad Abu Dhabi con l’Imam di al-Azhar, Ahmad al-Tayyeb, l’apertura della porta santa nel carcere di Rebibbia o l’inizio del giubileo della misericordia a Bangui (Rep. Centrafricana). Sono immagini che ancora oggi scuotono, che non si dimenticano. Gesti che interrogano anche la nostra fede concreta.

Nel segno di San Francesco

Potremmo continuare e sicuramente non riusciremo a descrivere ogni cosa, ma in tutto questo ho sempre – sicuramente non solo io – avvertito costantemente la presenza dell’altro Francesco, del poverello di Assisi che il compianto Papa ha scelto come patrono e compagno di viaggio. Non era un omaggio nostalgico, ma una scelta radicale e profetica.

L’attenzione di san Francesco alla pace e alla riconciliazione, al creato e al dialogo, il suo modo di parlare chiaro e semplice, l’incontro tra san Francesco e il Sultano durante la V crociata, la scelta costante dei lebbrosi (gli emarginati del suo tempo)… tutto questo è tornato ad avere voce in un’epoca che sembrava averne smarrito il significato.

Spesso, anche nei nostri ambienti religiosi, se parliamo di queste cose sentiamo alzarsi le barriere dei se e dei ma, del fatto che ripercorrere oggi pedissequamente le orme di san Francesco sarebbe anacronistico, e così via…

Oggi, seguire l’esempio di san Francesco sembra quasi un’impresa irraggiungibile. Viviamo in un mondo che promuove l’individualismo e il successo personale, la ricerca dei like e il carrierismo, dove la semplicità e la povertà del Poverello sembrano essere un lontano ricordo, se non addirittura un ostacolo. Ma proprio in questo distacco tra il nostro tempo e la sua vita, Papa Francesco ci invita a riscoprire quella stessa radicalità e semplicità, come risposta a un periodo storico segnato da crisi e disorientamento: il nostro.

Forse è proprio questa la grande eredità di Papa Francesco: averci ricordato che il Vangelo può essere ancora vissuto davvero, oggi, anche da noi.

San Francesco docet. Papa Francesco demonstrat.

Fra Adolfo Marmorino OFM © RIPRODUZIONE RISERVATA

Foto di Annett_Klingner da Pixabay

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